Nonostante l’instabilità politica e il terrorismo, l’Egitto ce l’ha fatta: ad agosto saranno pressoché completati i lavori di parziale raddoppio del canale di Suez, che ridurrà il tempo di percorrenza delle navi da 18 a 11 ore. L’opera punta a raddoppiare i passaggi quotidiani delle navi, dalle circa 49 di oggi alle 97 nel 2023, con un traffico no-stop nelle due direzioni.
Gli impatti sull’ambiente saranno pesanti. Uno di questi sarà l’incremento in Mediterraneo di specie esotiche, provenienti dal Mar Rosso e dall’Oceano Indiano, per le quali non è stata fatta nessuna valutazione preventiva dei rischi.
“Un vero Studio di Impatto Ambientale sarebbe oggi la prima priorità – ci dice la ricercatrice israeliana Bella Galil, forse la principale esperta internazionale in materia di specie marine aliene nel Mediterraneo. Al contrario del Canale di Panama – prosegue la studiosa – Suez non ha chiuse o bacini intermedi e le aggressive specie dei mari eritrei entrano così nel Mediterraneo sospinti direttamente dalla forte corrente che sale verso Nord”.
Già oggi il Canale di Suez costituisce la principale “porta” sul Mediterraneo per l’ingresso di specie marine aliene provenienti dai mari tropicali. Alcune di queste sono più o meno direttamente nocive per la salute umana, come il pesce palla d’argento (Lagocephalus sceleratus), mentre altre hanno letteralmente sostituito le specie autoctone, come nel caso della triglia di fondo (Mullus barbatus) ormai soppiantata in molte pescherie dall’alloctona Upeneus moluccensis.
Nonostante i pronunciamenti della comunità scientifica internazionale ed anche le Convenzioni e gli accordi, come ad esempio la Convenzione sulla Diversità Biologica del 1993 o quella sulla tutela del Mediterraneo (Convenzione di Barcellona del 1995) nulla è stato fatto.
Un atteggiamento cieco e dissennato che pagheranno nei prossimi decenni tutte le comunità del Mediterraneo, umane e non.
Armando Gariboldi, naturalista
La versione integrale dell’articolo sul numero di Settembre de La Rivista della NATURA
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