Per alcune specie animali, il tasso di mortalità legato al cancro è pressoché simile a quello umano. È il caso, ad esempio, di cani e gatti, nei quali le cause sono spesso legate al fumo passivo.
Ma anche le specie che vivono in natura non ne sono immuni. Basti portare ad esempio il caso del diavolo della Tasmania (Sarcophilus harrisii Boitard), specie particolarmente soggetta a sviluppare il tumore facciale, oppure agli squali, che possono invece contrarre il melanoma, o ancora, ai leoni marini della California (Zalophus californianus), particolarmente soggetti a tumori dell’apparato uro-genitale a causa dell’alto tasso di inquinanti che infestano il loro habitat.
Tuttavia non mancano le eccezioni: è il caso degli elefanti che, nonostante abbiano un numero di cellule maggiore di quelle umane calcolabile nell’ordine dei trilioni, si ammalano di cancro con una frequenza di appena il 5%, mentre negli uomini si può giungere al 25%. Un dato significativo, che solo nelle scorse settimane ha avuto una spiegazione.
Stando ai dati forniti da una ricerca condotta dalla University of Chicago si è scoperto, infatti, che gli elefanti posseggono un numero elevato del più importante gene soppressore tumorale, il p53. I pachidermi ne avrebbero 20 copie contro l’unica presente negli uomini.
E se gli elefanti raramente si ammalano di cancro, ancora meno tocca alle balene. Proprio i grandi cetacei forniscono un esempio perfetto per dimostrare il cosiddetto Peto’s paradox, dal nome del professore inglese che lo ha formulato e, secondo il quale l’alta incidenza di tumori non è strettamente proporzionale al numero di cellule. Vale dire che non è vero che gli animali di grandi dimensioni, che possiedono un corredo genetico più ampio, si ammalino di cancro con maggiore incidenza rispetto a quelli piccoli. I topi, ad esempio, tendono ad ammalarsi di tumore frequentemente, ma le talpe senza pelo (Heterocephalus glaber), nonostante le dimensioni simili, sembrano esserne del tutto immuni.
Vincent Lynch, co- autore dello studio sugli elefanti, non esclude che questa ricerca possa portare dei vantaggi alla nostra specie: “In linea teorica potremmo dar vita ad un farmaco in grado ricreare quello che accade in questi grandi animali”.
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