Siamo partiti due settimane fa da Cape Town e seguendo la costa dell’oceano indiano abbiamo raggiunto Durban. Da qui siamo risaliti alcune decine di chilometri verso nord per raggiungere il Hluhluwe National Park. È il secondo parco sudafricano che visitiamo, dopo aver esplorato le piste dell’Addo N.P. nei pressi di Port Elizabeth.
È mattina, il sole non è ancora sorto, la tenda è ripiegata sul tetto del fuoristrada e la colazione è durata il tempo minimo per mettere in circolo le calorie necessarie per sopportare il freddo dell’inverno sudafricano. È difficile immaginare quanto freddo si possa patire di notte in queste regioni dell’Africa australe. Non è infatti raro trovare al mattino l’acqua ghiacciata nei bicchieri lasciati sul tavolo la sera precedente.
Ci portiamo verso il cancello del camp, in attesa che il personale venga ad alzare la sbarra per permetterci di entrare nel parco. Hluhluwe è famoso per i tanti rinoceronti che lo popolano. Si trovano sia i mastodontici e timidi bianchi che i loro cugini più piccoli neri dal carattere irascibile.
Iniziamo percorrendo le colline del settore settentrionale, dove la fitta vegetazione, formata principalmente da alberi di acacie, non facilita gli avvistamenti.
Superata una salita troviamo di fronte a noi un fuoristrada fermo sulla pista e colmo di turisti. Tutti i passeggeri hanno occhi e obiettivi rivolti verso sinistra. Avanziamo lentamente per non disturbare fino a fermarci alle loro spalle. La nostra posizione non ci permette di vedere ciò che gli altri turisti stanno fotografando. Nell’attesa prepariamo l’attrezzatura e attendiamo che il fuoristrada di fronte a noi avanzi.
Finalmente dalle marmitte vediamo fuoriuscire la classica fumata nera che preannuncia la messa in moto e l’avanzata del mezzo.
Preso il loro posto ci ritroviamo a qualche metro da una coppia di rinoceronti bianchi, immobili sul sentiero, che attendono si liberi il cammino per poter oltrepassare la strada. Facciamo qualche scatto approfittando della luce mattutina, ancora calda, e soprattutto della posizione perfettamente frontale di uno dei due. Poi ci spostiamo rapidamente in modo da non interferire con le loro azioni quotidiane.
Riprendiamo il cammino, fino a quando non vediamo nuovamente lo stesso fuoristrada fermo sulla pista. Il copione è lo stesso visto in precedenza, ma ora i turisti hanno lo sguardo rivolto verso destra, tranne i due seduti negli ultimi posti che puntano verso la nostra direzione. La mia curiosità mi spinge a premere leggermente sull’acceleratore, portando la velocità da ben 30 a forse 31 chilometri orari.
In quell’istante comprendo la curiosità dei due turisti che ci stanno osservando. Nascosto tra gli alberi, sul ciglio della strada, un immenso elefante maschio era stato probabilmente spaventato dal passaggio del primo fuoristrada. Con un balzo improvviso si porta di fronte a noi bloccando il cammino. Inchiodo, ma nonostante la bassissima velocità gli finisco vicino, troppo vicino. Forse col paraurti gli tocco una zampa. Lui si agita, barrisce nervosamente e scuote la testa alzando un fitto polverone. Poi si immobilizza e ci fissa.
Edoardo mi chiede cosa intendo fare. Rispondo che non mi resta altro che spegnere il motore, e sperare. Tentare la fuga in retromarcia risulterebbe una mossa del tutto inutile, in quanto non riuscirei a essere più veloce di lui e dei suoi 40 chilometri all’ora. Ingrano comunque la retromarcia, pigio a fondo il pedale della frizione e stringo le chiavi dell’accensione pronto a mettere in moto, in modo da poter tentare una fuga, seppur disperata, nel caso in cui la situazione precipitasse. L’elefante poggia la sua proboscide sul cofano come fosse lo stetoscopio di un dottore intento a visitare il suo paziente. Rimane immobile per diversi minuti, mentre i turisti dell’altro fuoristrada decidono di non perdersi la scena. Il tempo sembra essersi fermato, fino a quando il pachiderma accenna ad una lieve rotazione per poter afferrare alcune foglie dall’albero sopra di noi.
Mi rilasso, penso che forse il suo appetito potrà fargli scordare il nostro incontro, ma dopo pochi istanti la proboscide torna sul cofano. Il tempo si congela nuovamente. Ho la sensazione che mi stia guardando negli occhi, anche se so bene che gli elefanti non hanno capacità visive tanto sviluppate da individuare un puntino così piccolo. Trascorrono altri minuti di totale silenzio e immobilità. Poi lui retrocede di un paio di metri spezzando con il suo voluminoso fondoschiena, e senza troppi complimenti, un albero alle sue spalle. Con flemma plateale si sposta poi verso la sua sinistra e avanza passando tra gli alberi e il mio fuoristrada. Quando il centro della sua pancia si trova in corrispondenza del mio finestrino mi rendo conto delle sue reali dimensioni: non fosse per le zampe, che restano nel mio campo visivo, non mi renderei conto di trovarmi attaccato a un elefante. Anche l’estremità più bassa del suo ventre supera abbondantemente la linea superiore del mio finestrino. Ingrano la prima e non appena lo vedo spostarsi dal fuoristrada aziono la chiave d’accensione e “scivolo via” senza nemmeno accelerare, in modo da non fare troppo rumore. Tiriamo un sospiro di sollievo e ci avviciniamo al fuoristrada dei turisti che sembrano ansiosi di commentare la scena.
Guardo nello specchietto retrovisore e vedo ancora quell’immensa massa che si allontana ciondolando. Credo non dimenticherò facilmente quell’elefante che durante una gelida mattina invernale sudafricana trasformò alcuni minuti in ore.
Il momento dello scatto
Dovevamo sfruttare la poca luce che arrivava filtrata dalla boscaglia sul nostro soggetto. Assicurai l’attrezzatura fotografica alla testa idraulica ancorata tramite un supporto d’alluminio al portapacchi del fuoristrada. Approfittando del fatto che il rinoceronte era immobile tentai alcuni scatti con un tempo decisamente lento in rapporto alla lunghezza focale che stavo utilizzando (quando possibile è suggeribile optare per un tempo di scatto non più lento rispetto al numero riferito alla lunghezza focale utilizzata per non rischiare di ottenere immagini mosse, es: obiettivo 500 mm, tempo minimo 1/500 di secondo). Impostai un diaframma che mi permettesse di ottenere sia dettaglio che effetto sfocato dello sfondo (f9). Sia io che Edoardo scattammo trattenendo il respiro e senza fare alcun movimento per non trasmettere vibrazioni al fuoristrada, in modo da non disturbarci a vicenda. Per poter fotografare entrambi, Edoardo occupava i sedili posteriori del fuoristrada, mentre io ero alla guida.
In quegli istanti eravamo ancora ignari dell’incontro che ci stava aspettando…
Dati tecnici
- Data: 23/07/20109
- Corpo macchina: Nikon D2x
- Obiettivo: Nikkor 500 f4
- Lunghezza focale al momento dello scatto: 500 mm
- Apertura diaframma: F 9
- Tempo otturatore: 1/400 sec.
- Compensazione esposizione: – 0,7
- Sensibilità sensore: ISO 200
- Modo di ripresa: A (priorità di diaframmi)
VIAGGI FOTOGRAFICI di Davide Pianezze:
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