È notizia di poche ore fa che in Cina cani e gatti non sono più nell’elenco delle specie commestibili.
A metterlo nero su bianco il Ministero dell’agricoltura e degli Affari Rurali del governo di Pechino che in un documento stila la lista degli animali che possono essere allevati per carne, pelliccia o per scopi medici. Elenco nel quale cani e gatti non compaiono più.
Una decisione che non ha precendenti come sottolinea l’on Michela Vittoria Brambilla, presidente della Leidaa (Lega Italiana per la Difesa degli Animali e dell’Ambiente) e portavoce in Italia della World Dog Alliance.
«Se le autorità cinesi applicheranno coerentemente il principio introdotto dal ministero dell’Agricoltura – dichiara l’on Brambilla – si tratterà di una svolta storica. Sarà la fine per il vergognoso “Festival della carne di cane” di Yulin e per quel che di questa barbara industria sopravvive in un Paese dove la stragrande maggioranza dei cittadini, come mostra un sondaggio pubblicato oggi su Sina Weibo, sostiene il divieto di mangiare carne di cane. Del resto il divieto di mangiare carne di cane e di gatto è stato appena formalizzato dalla municipalità di Shenzen, una delle più dinamiche e progredite città cinesi, con 12,5 milioni di abitanti».
No ai Wet Market
La notiza che cani e gatti non sono più commestibili in Cina arriva due mesi dopo un’altrettanto storica decisione. Ovvero il divieto emesso dal governo di Pechino di commercializzare e consumare animali selvatici, ai quali sarebbe collegata l’origine del contagio del Covid 19 scoppiato nel mercato di Wuhan a fine gennaio.
Tuttavia, per Carla Rocchi, Presidente nazionale Enpa «si tratta di una decisione che arriva con anni di ritardo. Ora aspettiamo con urgenza lo stop dei wet market, luogo da dove questa immane tragedia è iniziata».
I wet market, letteralmente “mercati umidi”, sono luoghi in cui si vendono animali vivi che vengono macellati sul posto. Diffusi soprattutto in Asia e in Africa, sono privi di qualsiasi normativa igienico sanitaria.
«È in questi mercati all’aperto, dove vengono venduti e macellati insieme animali allevati, selvatici e domestici, – spiega l’associazione Animal Equality – che hanno avuto origine virus mortali come SARS e MERS. E ci sono forti sospetti scientifici che anche il COVID-19 possa essere passato all’uomo proprio in uno di questi mercati». Per questo è stata lanciata una campagna internazionale con raccolta di firme che chiede alle Nazioni Unite di vietare immediatamente e permanentemente i wet market in tutto il mondo.
«In questi pochi giorni – raccontano dall’associazione –abbiamo già raccolto oltre 200 mila firme, di cui oltre 100 mila solo in Italia».
Anche la responsabile della biodiversità delle Nazioni Unite, Elizabeth Maruma Mrema, si è espressa favorevolmente nei confronti della chiusura dei wet market e lancia un monito: «Il messaggio che stiamo ricevendo è che se non ci prendiamo cura della natura, la natura si prenderà cura di noi».
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