Da giorni si fa un gran parlare del 1992 grazie alla serie in onda su Sky che ricostruisce la stagione di Mani Pulite e intreccia le vicende giudiziarie con il ritratto sociale di un’epoca. La tesi degli autori è la stessa sostenuta da molti: quell’anno si consumò l’illusione di un’Italia migliore. Non si sapeva che il peggio doveva ancora arrivare e il Paese sarebbe stato sommerso dalla corruzione.
Ma se allarghiamo l’orizzonte scopriamo che nel 1992 si accesero grandi illusioni planetarie. Quello, infatti, fu anche l’anno della Conferenza di Rio. Il Vertice della terra si svolse in un clima di intensa emotività: 18mila partecipanti, 400mila visitatori, 8mila giornalisti. Doveva essere la risposta di un mondo equo e solidale al branco di squali che stava divorando il pianeta.
A Rio si gettarono le basi di una possibile rivoluzione che non mirava più ad arrestare lo sviluppo, ma a mutare in modo radicale la sua natura. La formula fu riassunta con la fortunata espressione “sviluppo sostenibile”. Furono firmate due Convenzioni sul clima e sulla biodiversità e la rassegna dei temi trattati diede vita a un promemoria per cambiare il mondo: l’Agenda 21.
Molte speranze, pochi impegni concreti. Oggi il clima è molto più disincantato e di Rio resta poco. D’accordo, il criterio della sostenibilità ambientale è entrato in molte norme legislative, numerose imprese hanno sviluppato programmi di risparmio energetico e il mondo si mostra seriamente preoccupato per la gigantesca devastazione del suo polmone tropicale. Ma il “cuore” del problema è stato drammaticamente ignorato: la crescita quantitativa è ancora preferita allo sviluppo qualitativo.
Si continua a invocare una crescita infinita e in questi anni di crisi economica il coro si è fatto assordante: tutti, dai governanti alle imprese ai sindacati, vogliono di tutto e di più. Ma a cosa serve ridurre le emissioni delle vetture a motore se comunque si pretende che il parco automobilistico raddoppi ogni dieci anni?
Se poi esaminiamo le politiche di solidarietà ci accorgiamo che le cose sono andate anche peggio. Non solo sono aumentate le distanze tra paesi ricchi e poveri in termini di reddito pro capite, ma sono cresciute le disuguaglianze sociali anche all’interno delle nazioni più progredite. E questo costituisce il primo ostacolo a una politica mondiale di sostenibilità ambientale.
Così il mondo, mentre celebrava il 5° centenario della scoperta dell’America, ha scoperto anche che i sogni erano finiti.
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