Biocarburanti, pale eoliche, pannelli solari… per risolvere il problema delle emissioni di CO2, le soluzioni sembrano puntare sempre e solo sullo sfruttamento delle superfici agricole ed entrano così in conflitto con la produzione di cibo.
Nelle vaste pianure americane, gli agricoltori hanno già cominciato a trovare più remunerativo installare pannelli solari piuttosto che coltivare mais. E basta aggirarsi nelle nostre colline per vedere paesaggi deturpati da campi di pannelli metallici. La mancanza di alisei e di venti costanti limita un po’ l’installazione di gigantesche pale eoliche…
Gli agricoltori americani sostengono che la scelta non è dettata da un desiderio di maggior lucro, quanto dalla sopravvivenza, perché i prezzi di soia, cotone e noccioline sono crollati negli ultimi anni, mentre le offerte delle compagnie di produzione elettrica si sono fatte più alettanti.
Secondo i calcoli dell’agenzia Bloomberg, in North Carolina sono stati coperti con pannelli solari 3.000 ettari dal 2013 a oggi; la Georgia ha aggiunto 200 megawatts di produzione elettrica nei suoi campi agricoli; il Minnesota ha incrementato nel 2015 del 21% la sua produzione di elettricità da fonti rinnovabili per ottemperare entro il 2030 ai limiti stabiliti dagli accordi di COP21 a Parigi.
Il caso del Minnesota è significativo per l’andamento dei prossimi anni come conseguenza degli accordi di Parigi. La International Renewable Energy Agency ha, infatti, calcolato che, per raggiungere gli obiettivi concordati a Parigi di riduzione dei gas serra, occorrerà produrre da fonti rinnovabili almeno il 36% dell’energia utilizzata al mondo.
Il rischio è che terreni di prima qualità per la produzione agricola siano, invece, destinati alla generazione di energia. L’unica strada per evitare questa evenienza è che il dilemma cibo “o” energia sia risolto con una grande spinta etica verso sistemi più complessi per la produzione di cibo “ed” energia.
La produzione di energia non deve, infatti, pretendere uno sfruttamento esclusivo della terra: per esempio, in Gran Bretagna ci sono allevamenti all’aperto che hanno beneficiato dell’installazione di pannelli solari, perché questi fungono anche da ripari per il bestiame. Oppure c’è compatibilità con i terreni adibiti a pascolo.
Cioè la terra sottratta alla coltivazione agricola intensiva per essere destinata a pannelli solari potrebbe in parte tornare ad alimentare la biodiversità che le nostre campagne hanno da tempo perduto, fungere da habitat per gli impollinatori, rimanere esente da diserbanti e altri inquinanti…
Gli interrogativi sollevati dal conflitto tra cibo ed energia possono quindi trovare una risposta, ma questo richiede una forte progettualità etica da parte della società e il futuro dell’agricoltura non può essere lasciato in balia delle correnti del mercato e del profitto. Altrimenti la battaglia contro l’effetto serra rischia di fare ingenti danni collaterali.
“Di buone intenzioni sono lastricate le vie dell’inferno”!
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