È uno degli animali simbolo della Savana africana, ma ha avuto un passato movimentato e difficile, e anche il suo presente non è da meno.
Uno studio condotto sul genoma di sette esemplari di ghepardo (Acinonyx Jubatus) ha dimostrato che la lunga migrazione di questi felini (iniziata circa 100.000 anni fa) dal nord America all’Africa, è costata molto cara. Ha causato una riduzione della variabilità genetica, che oggi mette a rischio la conservazione del predatore da 100 Km/h.
Attualmente infatti, uno dei principali problemi del ghepardo (oltre, manco a dirlo, alla caccia e alla perdita di habitat) è la poca efficienza riproduttiva, dovuta a particolari mutazioni genetiche dannose che ne indeboliscono lo sperma.
Queste mutazioni sono il risultato dell’inbreeding, cioè l’incrocio fra individui strettamente imparentati, che trova le sue radici nella storia remota.
Il ghepardo discende da un antenato (parente anche del Puma) che viveva originariamente in nord America. Nel pleistocene (circa 100.000 anni fa) cominciò una lunga migrazione che portò i ghepardi fino in Asia e Africa, attraverso una regione chiamata Beringia (l’attuale stretto di Behring, che all’epoca era terra emersa).
I ghepardi si ritrovarono così in un territorio vastissimo, divisi in popolazioni frammentate e lontane, e inevitabilmente aumentarono i casi di riproduzione incestuosa.
Quando poi, circa 12.000 anni fa, una “improvvisa” estinzione di massa fece sparire il ghepardo dal Nord America, il flusso genico si ridusse ulteriormente e si arrivò alla situazione che si osserva nei ghepardi moderni.
Dai test effettuati è risultato che i ghepardi hanno perso il 90-99% della diversità genetica tipica dei mammiferi, in sostanza sono dei quasi cloni l’uno dell’altro.
Un viaggio, quello dall’America all’Africa, che i ghepardi stanno pagando molto caro.
Illustrazione: Silvia Venturi
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