A ogni immersione, il Golfo di Napoli può regalare incontri interessanti, come quello con un pesce prete di cui è stato protagonista Salvatore Ianniello che in queste foto ha “pescato” una specie che, per sua natura, fa di tutto per non essere vista.
Il pesce prete (Uranonoscopus scaber) rientra tra i pesci che la gente considera “brutti”. Ovviamente non è una categoria scientificamente valida e neppure giustificata, ma certamente in un concorso di bellezze ittiche, il pesce prete non si piazzerebbe ai primi posti.
Tuttavia, a conoscerlo meglio, esso si rivela di grande interesse. Per cominciare un primo indizio viene dal nome.
Nei nostri mari, infatti, viene chiamato pesce prete con riferimento all’idea che gli uomini di culto preghino rivolgendo gli occhi al cielo. Molto più chiaro risulta il nome scientifico di Uranoscopus, creato dal grande Linneo e che vuol dire “che guarda il cielo”, significato ripreso dagli anglosassoni che lo chiamano “stargazer” e cioè “che guarda le stelle”.
I nomi scientifici non sono attribuiti a caso e Linneo, nella sua descrizione, fece riferimento agli occhi telescopici che questa specie porta sulla parte dorsale del capo.
Uno Sherlock Holmes del mare vi direbbe che tale caratteristica è un indizio rivelatore del modo di vita del pesce prete, che preferisce restare infossato sul fondo lasciando sporgere occhi, narici e gran parte della bocca, tutte parti del suo corpo adattate a una vita semisepolta e sedentaria.
Se gli occhi sono perfetti per controllare i dintorni, le narici sono protette da lembi di pelle che funzionano da filtro, trattenendo i granelli di sabbia. La stessa bocca presenta una serie di papille a pettine che impediscono alla sabbia o ai sedimenti di penetrare all’interno. Anche le branchie sono modificate per evitare l’entrata di eventuali detriti.
Questi sono solo alcuni dei suoi adattamenti
Un pesce che vive infossato si nasconde e aspetta che la preda gli passi a portata di bocca. Il pesce prete si comporta così, ma poiché anche nel mondo animale la fortuna va aiutata, ecco che si è dotato di un’esca irresistibile.
Dalle sue fauci, infatti, spunta un filamento rossastro simile a un verme che esce dalla sabbia. Inutile dire che il trucco funziona sempre con grande soddisfazione del predatore, che risucchia le sue prede con la velocità del lampo (30 millisecondi), limitandosi a sollevare la testa dal fondo piegandola verso l’alto.
Altrettanto efficaci sono le armi difensive di cui dispone
Ai lati della testa ci sono robuste spine in grado di provocare punture dolorose aggravate dalla presenza di ghiandole velenifere, mentre altre spine corredano la prima pinna dorsale. Ma il pesce prete ha anche la caratteristica di essere bioelettrogenico, cioè può produrre scariche elettriche come le torpedini o le anguille elettriche.
Tuttavia, a quanto pare, il pesce prete non usa l’elettricità per scopi offensivi, ma si limita a emettere deboli scariche che sembrano differire quanto a potenza a seconda del sesso e delle dimensioni e servono a comunicare tra individui, durante il corteggiamento o a percepire la presenza di prede nel buio.
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