Il secolo scorso è stato l’era del petrolio: per l’oro nero abbiamo combattuto guerre, con la sua combustione e i suoi derivati abbiamo inquinato il mondo; poi abbiamo cominciato a cercare di regolarne il mercato, di ridurne il consumo e di contenere gli effetti sull’atmosfera delle emissioni dei motori alimentati a combustibile. Fino a decidere di imboccare la strada del suo abbandono e di voltarci decisamente verso le motorizzazioni elettriche, che saranno il futuro prossimo venturo.
Ma siamo culturalmente preparati ad affrontare questo futuro inedito e le complessità che comporta un’economia decarbonizzata?
Se il XX secolo ha sancito il dominio del petrolio e degli sceicchi del Medio Oriente, ora il baricentro geopolitico si sposta verso l’Africa centrale e il Sud America, con le loro riserve di metalli pesanti e Terre Rare, necessari per costruire le batterie delle auto elettriche.
Stiamo entrando nell’era del cobalto
La rivoluzione in corso sarà di portata storica quanto quella industriale e comporterà lo sfruttamento delle risorse minerarie necessarie alla costruzione delle batterie: le Terre Rare.
La “tecnologia verde” delle auto elettriche, infatti, è fortemente dipendente da questi minerali:
l’industria delle batterie è soprattutto cobalto-dipendente. Il cobalto, infatti, è il componente indispensabile per le batterie al litio, sia per quelle piccole di smartphone e pc, sia per quelle ben più grandi delle automobili elettriche.
La ripartizione sul mercato delle batterie è all’incirca questa: il 25% è destinato alle auto; il 19% agli smartphone; il 16% ai Pc; il 16% alle biciclette elettriche. Ma se per costruire la batteria di uno smartphone servono circa 10 g di cobalto, per una batteria di auto elettrica ce ne vogliono circa 10 kg.
In un articolo pubblicato su Nature nel 2018, Saleem Ali, ricercatore dell’Università del Delaware, ha calcolato che l’estrazione dei minerali necessari alla costruzione delle batterie non sarà sufficiente a far fronte alla richiesta dell’industria, nemmeno considerando l’apporto dato dal riciclo.
Già nel 2020, la richiesta di cobalto potrebbe superare la sua disponibilità sul mercato.
Secondo uno studio del Joint Research Centre (JRC) della Commissione Europea, il consumo globale di cobalto sarà pari a 220mila tonnellate nel 2025: al momento la capacità produttiva mondiale delle miniere di cobalto è di circa 160mila tonnellate/anno, quindi sarà molto difficile tenere il passo della domanda.
La corsa all’oro blu
Il valore del cobalto cresce esponenzialmente: il costo del minerale è arrivato a toccare alla London Metal Exchange quasi 88 mila dollari a tonnellata. Lo scorso anno il prezzo è aumentato di più del 190%. Ed è partita la nuova corsa all’oro.
Questa nuova risorsa, limitata e preziosa, è controllata al 97% dalla Cina, che sta muovendo tutte le sue pedine per dominare il mercato. Ha colonizzato l’Africa con le infrastrutture e presidia le estrazioni minerarie. Di conseguenza, due dei cinque fornitori di batterie più grandi al mondo sono cinesi.
Tra i principali rischi della dipendenza dal cobalto dell’economia decarbonizzata, c’è quello geopolitico, perché il Paese maggiore produttore di cobalto è la Repubblica Democratica del Congo, che registra il 60% della produzione mondiale e detiene anche circa la metà delle riserve note. Ma questa preziosa risorsa non contribuisce alla ricchezza del Congo; tutt’altro. Secondo l’Unicef, nelle miniere africane lavorano 40mila bambini. Nel 2016, Amnesty International ha pubblicato un esaustivo documento di denuncia del lavoro minorile nelle miniere di cobalto del Congo: “This is what we die for”.
Un’estrazione praticamente insostenibile, da un punto di vista ambientale, umano ed economico.
Il litio e gli altri metalli “elettrici”
Dopo il cobalto, l’altro componente essenziale per le batterie delle auto elettriche è il litio. Nel 2020 ci saranno verosimilmente 2,7 milioni di veicoli con questo tipo di batterie e l’industria degli accumulatori assorbirà più del 90% del litio estratto.
Anche per questo metallo, una delle maggiori criticità, più della disponibilità, è la concentrazione delle risorse e della produzione di litio a livello internazionale: oltre la metà delle riserve mondiali di litio si trovano in Bolivia, seguita da Argentina e Cile.
Oltre al litio, anche grafite e nichel sono fondamentali per la produzione di una batteria agli ioni di litio.
Organizzare il riciclo
La maggior parte delle batterie per auto elettriche ha una vita utile di 5-8 anni; quindi, la prima ondata di batterie esauste – quella delle auto elettriche vendute fra il 2012 e il 2014 – sta arrivando adesso agli impianti di riciclo. D’ora in avanti, il loro numero aumenterà esponenzialmente.
Secondo il Centro di ricerca sulle tecnologie automobilistiche della Cina, nel 2020 il Paese dovrà gestire tra le 120 e le 200mila tonnellate di batterie esauste, ma mancano i siti per provvedere allo smaltimento delle batterie dismesse. A oggi in Cina ci sono cinque grandi aziende specializzate nello smaltimento delle batterie esauste, complessivamente in grado di lavorare 12mila tonnellate di batterie.
In Europa la situazione è meno preoccupante, sia per il numero più limitato di auto elettriche vendute fino a oggi, sia per una migliore presenza di impianti in grado di smaltire le batterie. Ma occorre prepararsi all’impennata delle vendite di auto elettriche: l’Agenzia internazionale per l’energia (IEA) stima che entro il 2030 le autovetture elettriche saranno globalmente 140 milioni.
Il settore del riciclo non è ancora pronto a questa sfida: si calcola che nell’UE attualmente solo il 5% delle batterie agli ioni di litio venga riciclato.
Con gli attuali processi di fusione impiegati dalle aziende di riciclo, si recuperano molti metalli, ma non il litio, che finisce come scarto misto. Il suo recupero, infatti, ha un costo non conveniente. Questo comporta un elevato danno ambientale: le batterie esauste emettono gas tossici e i componenti di litio e cobalto inquinano le falde acquifere.