Negli ultimi mesi stiamo assistendo in diverse regioni italiane a uno dei più critici impatti del riscaldamento globale, l’aumento degli eventi metereologici estremi, che sta producendo un ingente quantità di danni a persone e infrastrutture. Siccità prolungate e brevi, ma intense, alluvioni si alternano, con l’effetto di elevare esponenzialmente il rischio di esondazioni dei corsi d’acqua.
L’innalzamento delle temperature, che ha ormai quasi raggiunto la prima soglia critica degli 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali stabilità dagli accordi di Parigi dei 2015, sta alterando gravemente tutti i fenomeni climatici. L’atmosfera terrestre, infatti, è ora capace di trattenere una maggiore quantità di vapore acqueo causando un aumento dell’umidità atmosferica che innesca piogge più intense e concentrate in specifiche regioni, portando a un maggiore rischio di calamità naturali.
In Emilia-Romagna a maggio sono caduti circa 350 milioni di metri cubi di acqua, equivalenti a sei mesi di pioggia, concentrati in 36 ore. Il risultato è stato lo straripamento di 23 fiumi, oltre 400 frane, centinaia di strade interrotte e danni stimati dalla regione per 8,8 miliardi di euro. Ci sono stati inoltre sedici morti e migliaia di famiglie sono state sfollate causa dell’inagibilità delle loro abitazioni.
Una delle motivazioni degli ingenti danni nella regione è dovuta al fatto che le inondazioni sono state precedute da un lungo periodo di siccità che ha inaridito la terra, riducendo la sua capacità di assorbire l’acqua.
Le alluvioni verificatesi in Romagna hanno inoltre riportato all’attenzione la inesatta notizia secondo la quale per scongiurarle o attenuarle basterebbe ripulire i fiumi dai sedimenti. La manutenzione dei fiumi per prevenire i rischi di esondazioni non si fa estraendo ghiaia dai loro alvei, con quelli che vengono chiamati dragaggi, ma invece con la rimozione di alberi, arbusti e quanto altro ostruisce o riduce la sezione fluviale. Questi possono, infatti, fungere da tappo ostruendo un attraversamento presente lungo il fiume, con il risultato di amplificare ulteriormente la piena.
Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Nature (Zarlf & Lehner, 2020), nei fiumi europei sono presenti oltre 1,2 milioni di barriere, dighe e altri ostacoli che impediscono il naturale fluire dei corsi d’acqua, favorendo l’accumulo dei detriti e di conseguenza il rischio di esondazione. Per questo, l’Unione europea ha lanciato l’iniziativa “Dam removal Europe”, che si concentra proprio sulla rimozione delle barriere superflue per ridurre il pericolo che i corsi d’acqua escano dagli argini causando danni.
Ancor più recente è l’alluvione che ha colpito la Regione Toscana dove erano almeno 50 anni che non pioveva con questa intensità, il maltempo provocato dal passaggio della tempesta Ciaran ha provocato la caduta di 190 mm di pioggia in tre ore. Sono sette le persone per ora decedute e migliaia di edifici sono stati danneggiati dall’acqua e dal fango. Le prime stime del presidente della regione Giani parlano di 500 milioni di euro di danni, ma le cifre sono destinate certamente ad aumentare nelle prossime settimane una volta finita la fase critica iniziale.
I casi di Emilia-Romagna e Toscana rappresentano l’apice di un problema che affligge il nostro paese e molte altre nazioni dell’Europa e del mondo da molti anni, la necessità di ridare spazio alla natura. I fiumi in particolare hanno bisogno di avere una maggiore libertà di movimento. Tuttavia, molti alvei sono stati canalizzati, le aree di esondazione naturale sono occupate e i boschi ripariali e delle zone umide perifluviali sono stati distrutti. Questi ultimi soprattutto fungevano da vere e proprie spugne in grado di attenuare le forti alluvioni e le piene.
In questo quadro risulta sempre più urgente una “politica di adattamento ai cambiamenti climatici che vada oltre la logica di emergenza e ne consideri gli effetti nella pianificazione ordinaria” (WWF, 2023). Purtroppo, la situazione è in continuo peggioramento come dimostrano i dati (ISPRA, 2022) sul consumo di suolo, che sfiorano i 70 chilometri quadrati di nuove coperture artificiali in un anno.
Non agire subito per affrontare la nuova realtà climatica amplificherà le conseguenze sulla sicurezza e il benessere delle comunità. Il capo della protezione civile Fabrizio Curcio in un’intervista a “La Stampa” ha dichiarato: «Pensare di poter costruire ovunque, o che nuove opere siano la soluzione al problema, senza tenere conto dei pericoli e delle peculiarità del nostro territorio, non è né sicuro, né sostenibile […] a volte la soluzione sta proprio nell’abbattere quanto già costruito».
Il grave momento che il nostro Paese sta vivendo richiede azioni coraggiose e immediate. Ignorare questa realtà climatica in evoluzione comporterà conseguenze sempre più gravi per la sicurezza e il benessere delle comunità. Bisogna ripensare a livello nazionale e regionale le politiche di pianificazione e tutela dei corsi d’acqua per favorire un rapporto sostenibile tra l’utilizzo delle risorse idriche e l’ambiente naturale. Questa sarà una delle sfide essenziali per poter affrontare e mitigare l’elevato rischio di alluvioni con cui dovremo fare i conti nel prossimo futuro.
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