A due anni dal naufragio nelle acque dell’Isola del Giglio in cui persero la vita 32 passeggeri, la Costa Concordia continua a non trovare pace. Dopo l’opera faraonica di raddrizzamento dello scafo, avvenuta lo scorso settembre, si è aperta l’altrettanto complicata fase di designazione del porto per smantellare il relitto. Niente di più difficile, perché sulla grande nave da subito si sono affollati un gran numero di interessi, come quelli di uno stormo di gabbiani sulla carcassa di una balena spiaggiata. La questione dello smaltimento del relitto di una nave fa gola a molti. Operazioni di questo tipo valgono centinaia di milioni e per i Paesi più poveri – dove lo smantellamento avviene a costi stracciati, ma in condizioni molto rischiose, sia per gli operai, sia per l’ambiente – costituiscono spesso il motore di un’economia. Si stima che nel periodo 2010-2030, sulle spiagge di Bangladesh e Pakistan (dove non esiste alcuna infrastruttura di gestione dei rifiuti) saranno scaricate 80 mila tonnellate di amianto, 256 mila tonnellate di PCB, 224 mila tonnellate di sostanze ozono lesive e 74 mila tonnellate di metalli pesanti.
Per la rottamazione della Costa Concordia a candidarsi sono stati 12 porti e 6 nazioni: Turchia, Francia, Norvegia, Gran Bretagna, Cina e, naturalmente, l’Italia, con i porti di Piombino, Genova, Civitavecchia e Palermo. La designazione dovrebbe avvenire in queste settimane a Londra, dove i consulenti della London Offshore Consultants incaricati dalla Compagnia armatrice e dagli assicuratori stabiliranno in quale porto rimorchiare il relitto, che ha una stazza lorda di ben centomila tonnellate, una lunghezza di 290 metri, un’altezza di 70 e un pescaggio di 8.
E proprio sulla designazione del porto più idoneo Greenpeace ha recentemente espresso grandi perplessità. «Nel 2012 la Commissione Europea ha escluso le navi dalla Convenzione di Basilea che vieta lo smaltimento dei rifiuti tossici navali in Paesi non di area OCSE, senza prevedere la bonifica preliminare (pre-cleaning) – denuncia l’Associazione ambientalista –. Questo ha contribuito allo smantellamento dei cantieri europei destinati alla demolizione delle navi e ha favorito la pratica dell’esportazione delle navi da rottamare in Turchia e altri Paesi asiatici». Il cimitero di navi di Alyaga, vicino a Smirne, in Turchia, costituisce la tappa finale per molte navi europee arrivate alla fine dei loro giorni, ma secondo Greenpeace la rottamazione avverrebbe secondo pratiche vietate dall’UE, come quello dello spiaggiamento.
L’Associazione denuncia che «lo smaltimento non regolato delle navi in Europa ha sviluppato un business di riciclaggio di acciaio nei paesi del Terzo mondo, di cui beneficiano gli armatori europei, a discapito dell’ambiente e dei lavoratori dell’Asia del sud. Lo sviluppo di questo commercio illegale è dovuto al risparmio sui costi legati alla mano d’opera, alla pessima gestione dei rifiuti pericolosi presenti nelle navi e al miglior prezzo sul mercato dell’acciaio recuperato».
Per Alessandro Giannì, direttore delle campagne di Greenpeace Italia, l’opzione della rottamazione a Piombino è irrealistica: «Per la costruzione di un vero e proprio bacino di demolizione navale occorrerebbero almeno due anni e il futuro industriale di questo progetto è azzerato dalle norme recentemente adottate in Europa. Auspichiamo che la bonifica e la rottamazione della Costa Concordia avvenga nei limiti della legalità, in uno degli ex cantieri navali presenti in Europa, secondo le linee guida di smaltimento delle navi elaborate dalla Convenzione di Basilea, che prevede la bonifica degli scafi prima della rottamazione. Ma prima ancora della rimozione e del trasferimento della Concordia è assolutamente necessaria la sua messa in sicurezza».
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