Il ritorno della Cina all’allevamento e consumo di specie selvatiche costituisce non solo un danno alla biodiversità del pianeta, ma pone seri rischi per la salute umana. L’allarme degli esperti è stato evidenziato in un recente articolo del giornale inglese The Guardian.
L’indagine conclusa lo scorso anno dall’Organizzazione Mondiale della Sanità afferma, infatti, che gli allevamenti di animali selvatici nel sud della Cina sono la fonte più probabile della pandemia COVID-19 ed esclude la possibilità che il virus sia sfuggito da un laboratorio di ricerche biomediche.
Negli ultimi anni ci sono già state tre grandi epidemie causate da coronavirus: Sars, Mers e Covid. Queste epidemie sono state ritenute dagli esperti strettamente legate alla promiscuità con la fauna selvatica.
Ripreso in Cina il commercio di animali selvatici
Con la rimozione di tutte le restrizioni anti Covid in Cina, si va verso la ripresa dell’allevamento di animali selvatici come istrici, zibetti e ratti del bambù, il che comporta nuovi rischi per la salute umana.
Prima dello scoppio della pandemia di Covid-19, in Cina l’allevamento di animali selvatici era promosso dalle agenzie governative come un modo semplice per procurare sostentamento alle zone rurali. Dopo l’emergere delle ipotesi che il virus SARS-CoV-2 possa aver avuto origine dal contatto inappropriato con la fauna selvatica, il governo cinese aveva messo delle restrizioni a questo tipo di allevamenti.
Il bando riguardava numerosissime specie animali con importanti valori ecologici. Tuttavia, secondo gli esperti, il consumo di animali selvatici come cibo è rimasto nell’ombra, con le autorità che hanno permesso di allevare in cattività altri animali non specificatamente inseriti nell’elenco delle specie vietate, tra cui volpi argentate e procioni.
Le nuove riaperture, con l’aggiunta di altre categorie esentate dal divieto di allevamento in cattività che comprendono 16 tipi di animali, tra cui alcune varietà di polli, anatre e cervi, oltre a volpi argentate, cani procioni e visoni, sono state viste come il primo passo per rilanciare l’attività di allevamento di animali selvatici.
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