Il lavoro nei campi non è finalizzato solo a produrre merce, ma anche a difendere il territorio e la biodiversità. Lo sanno bene al Laboratorio per il Paesaggio ed i Beni Culturali (CultLab) dell’Università di Firenze, dove si stanno occupando di alcuni progetti di restauro del paesaggio rurale con l’obiettivo di indicare una direzione. Di più, una strategia.
Il primo di questi progetti investe Punta Mesco (Parco delle Cinque Terre, Liguria): un luogo incantato che separa l’insenatura di Levanto da quella di Monterosso. È in quest’area che il FAI – Fondo Ambiente Italiano sta giocando una delle sue ultime sfide. Dopo avere ricevuto in donazione 45 ettari di terreno comprendente tre fabbricati rurali, alcuni terrazzamenti un tempo coltivati con viti e olivi e una vasta fascia di macchia mediterranea, ha avviato un progetto per insediare una nuova attività agrituristica. È stata già eseguita una prima pulizia dell’area, che era stata invasa dalla vegetazione infestante, sono stati ripristinati buona parte dei muretti a secco, piantati nuovi ulivi ed è in corso il recupero degli edifici. A conclusione dei lavori – il primo lotto si chiuderà questa primavera – si insedieranno un’impresa agricola e un’attività ricettiva, improntate alla sostenibilità economica e ambientale.
Il FAI è protagonista anche al Bosco di San Francesco, ad Assisi (Umbria). Si tratta di un’area in cui sono storicamente presenti le influenze di due importanti ordini religiosi: i Francescani e i Benedettini. Il primo tratto di bosco, delimitato da un alto muro di cinta, è di proprietà del Sacro Convento ed è denominato la “Selva di San Francesco”. Il secondo tratto, caratterizzato da cedui invecchiati di carpino nero, roverella e orniello è di proprietà del Fondo Ambiente Italiano. Il piano di gestione, curato dalla Fondazione presieduta da Andrea Carandini e dal CultLab, mira al recupero del pascolo arborato, del bosco da pascolo e delle colture promiscue, elementi caratteristici del paesaggio rurale storico locale.
Lamole, una frazione di Greve in Chianti (Toscana), presenta invece un paesaggio caratterizzato da terrazzamenti su cui si coltivano vite e olivo. Fino agli anni ‘60 il paesaggio era caratterizzato da colture promiscue su terrazzamenti, ma con la diffusione della coltura specializzata della vite negli molti terrazzamenti furono eliminati per far posto a vigneti maggiormente meccanizzabili e meno onerosi. Con il passare degli anni, però, ci si è resi conto che la qualità del vino non era la stessa rispetto a quello di un tempo. Studi appositi sono arrivati alla conclusione che il motivo era da ricercarsi proprio nella eliminazione dei terrazzamenti. In particolare, i filari dei moderni vigneti erano disposti ortogonalmente rispetto ai precedenti e quindi ricevevano i raggi del sole in modo completamente diverso. Inoltre le pietre dei terrazzamenti accumulavano il calore durante il giorno, per poi cederlo la notte ai grappoli, favorendone una maturazione particolarmente adatta per la vinificazione. Infine, le opere di gestione idrica associate ai gradoni, evitavano l’erosione superficiale. Per questi motivi sono stati restaurati per opera di un produttore locale, circa sei ettari di vecchi terrazzamenti, pari a sette chilometri di muri restaurati o ricostruiti, su cui oggi si produce di nuovo vino di alta qualità.
Punta Mesco, Assisi, Chianti