Bistrattate, chiamate con appellativi poco gentili, snobbate da chi le ricerca sott’acqua solo per fotografare i graziosi e colorati gamberetti in simbiosi con loro, le oloturie, qui rappresentate dalla tropicale e nota oloturia ananas (Thelenota ananas), non sono certo ai primi posti nell’ideale classifica degli animali marini più ammirati.
Presenti dai tropici alle acque polari e dalla fascia di marea alle più profonde fosse oceaniche, le oloturie sono fondamentali per il riciclo dei nutrienti. Basta pensare che nel loro incessante andirivieni sui fondali marini, le oloturie ingurgitano per nutrirsi grandi quantità di sedimenti che poi espellono ripuliti sotto forma di caratteristici “salamini”. Alcuni studi effettuati nella Grande Barriera Australiana hanno rivelato che le oloturie possono “lavorare” circa 4600 kg di sedimento all’anno interessando una superficie di 1000 metri quadrati.
Oltre a essere delle stacanoviste del movimento terra, meglio dei caterpillar, le oloturie hanno un notevole valore economico, perché molti popoli orientali le considerano delle vere leccornie. La loro raccolta, che riguarda una settantina di specie tra le 1200 circa note alla scienza, comporta un giro d’affari mondiale di oltre 5 miliardi di dollari nella sola Cina.
Se qualcuno pensa che solo i mari esotici siano interessati da questo commercio rimarrà sorpreso nello scoprire che negli ultimi anni è aumentata notevolmente la raccolta delle oloturie in Mediterraneo e anche nei mari italiani. Qui si sono registrati sequestri da parte delle autorità fino a 11 tonnellate in una sola volta che hanno comportato processi e multe salate poiché questi echinodermi sono specie protette proprio in virtù del loro ruolo nella conservazione in buona salute del fondo marino.
L’oloturia non si suicida: rigenera tutto
Le oloturie nascondono ben altri segreti più o meno noti. Di aspetto tubolare, coriacee, si spostano sul fondo grazie a tre file ventrali di pedicelli con la bocca in avanti mentre all’estremità opposta si apre l’apertura terminale del canale alimentare il che accentua l’aspetto a tubo di questi echinodermi. Da qui si manifesta il fenomeno dell’eviscerazione degli organi interni. Nella cloaca, collocata posteriormente, sboccano infatti i tubi di Cuvier, strutture digitiformi di numero variabile e che hanno una funzione difensiva.
Come qualche subacqueo un po’ troppo curioso (anch’io ma per amore della scienza) ha verificato di persona, i tubi di Cuvier sono estremamente vischiosi e appiccicosi e destinati a intrappolare eventuali aggressori.
Durante l’escrezione l’oloturia dà tutta se stessa espellendo anche i polmoni acquiferi, organi preposti alla respirazione dell’animale, e spesso anche parte dell’intestino. Ma niente paura. L’oloturia non si suicida: piano piano rigenera tutto.
Davanti a tante meraviglie non posso che rendere un ultimo omaggio all’oloturia parafrasando i versi finali della poesia Davanti a san Guido di Giosuè Carducci ripensando all’ultima che abbiamo visto e subito dimenticato …“e l’oloturia ingurgitando fango e limo, grigio e verdino, non si scomodò: noi spettatori ella non degnò d’un guardo e a ingurgitar seria e lenta seguitò”.