A ribadire quanto da qualche anno già si sospettava è lo studio “The 79 CE eruption of Vesuvius: a lesson from the past and the need of a multidisciplinary approach for developments in volcanology”, recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista ‘Earth-Science Reviews’ che partendo dalla ridefinizione temporale del noto disastro ha seguito gli effetti dell’eruzione fino a migliaia di chilometri di distanza aprendo nuovi fronti di ricerca per eventi simili.
Protagonista della ricerca è l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) in collaborazione con l’Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IGAG-CNR), il Centro Interdipartimentale per lo Studio degli Effetti del Cambiamento Climatico (CIRSEC) e il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa, il Laboratoire Magmas et Volcans di Clermont-Ferrand (LMV) in Francia, la School of Engineering and Physical Sciences (EPS) della Heriot-Watt University di Edimburgo nel Regno Unito. La ricerca è stata realizzata nell’ambito del progetto di ricerca ‘Pianeta Dinamico’ finanziato dall’INGV.
L’errore contenuto nella famosa lettera di Plinio il Giovane a Tacito
La ricerca smentisce quanto tramandato sino ad oggi da una celebre lettera che Plinio il Giovane scrisse a Tacito nel 107 d.C. Nel documento il letterato romano racconta allo storico della spaventosa eruzione a cui 28 anni prima aveva assistito da Miseno, nell’estremità occidentale del Golfo di Napoli. Era ospite nella villa di suo zio Plinio il Vecchio, scrittore, filosofo, naturalista e comandante della base navale di Miseno, il quale morì durante quel tragico evento nel tentativo di trarre in salvo gli abitanti di Stabia, nella parte orientale del golfo, poco a sud di Pompei.
L’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. è stata una delle più spaventose del passato. Il fatto che le sue ceneri siano state trovate fino in Grecia la dice lunga sulla portata dell’evento.
A quasi 2000 anni di distanza il team internazionale di ricercatori ne ha ricostruito tutte le fasi con studi sul campo, analisi in laboratorio e rilettura delle fonti storiche, chiarendo una serie di aspetti inediti, tra cui la collocazione temporale.
Come spiega Mauro A. Di Vito, vulcanologo dell’INGV e coordinatore dello studio «l’articolo parte dalla ridefinizione della data dell’eruzione, che sarebbe avvenuta nell’autunno del 79 d.C. e non il 24 agosto come si è ipotizzato in passato, e prosegue con l’analisi vulcanologica di siti in prossimità del vulcano per poi spostarsi progressivamente fino a migliaia di chilometri di distanza, dove sono state ritrovate tracce dell’eruzione sotto forma di ceneri fini».
Il mistero della datazione
In realtà la data del 24 agosto è stata messa in discussione sin dal XIII secolo.
Storici, archeologi e geologi ne hanno dibattuto a lungo per via di numerose incongruenze. Tra le rovine di Pompei, infatti, furono trovati resti di frutta tipicamente autunnale.
Anche le pesanti tuniche indossate dalle persone sepolte sotto la cenere hanno da sempre fatto ipotizzare che l’evento non si sia verificato in estate. La prova che la data fosse errata è però emersa solo pochi anni fa. Biagio Giaccio, ricercatore dell’Igag-Cnr e coautore dell’articolo spiega: “Un’iscrizione in carboncino sul muro di un edificio di Pompei che tradotta cita ‘Il sedicesimo giorno prima delle calende di novembre, si abbandonava al cibo in modo smodato’, indica che l’eruzione avvenne certamente dopo il 17 ottobre”.
Un evento del passato per predire il futuro
«Questo studio – spiega Domenico Doronzo, vulcanologo dell’INGV e coautore della ricerca – consentirà di migliorare l’applicabilità di modelli previsionali, dai fenomeni precursori all’impatto dei vari processi eruttivi e deposizionali, ma potrà anche contribuire a ridurre la vulnerabilità delle aree e delle numerose infrastrutture esposte al rischio vulcanico, non solo in prossimità del vulcano, ma, come ci insegna questo evento, anche a distanza di centinaia di chilometri da esso».
Indicazioni anche sul clima
Comprendere l’impatto delle eruzioni sul clima è importante anche per studiare l’origine e l’impatto di alcune variazioni climatiche brevi. «Tuttavia – commenta Gianni Zanchetta dell’Università di Pisa e coautore della ricerca – non conosciamo ancora molto – e con la risoluzione adeguata – delle condizioni climatiche al tempo dell’eruzione del 79 d.C.”. E Monica Bini dell’Università di Pisa aggiunge: «In questo lavoro abbiamo cercato di mettere insieme le conoscenze sulle condizioni climatiche regionali al tempo dell’eruzione per tentare una prima sintesi anche per indirizzare le ricerche future su questo aspetto che ha ancora molti lati oscuri».
Raymond Cas, Professore emerito presso la School of Earth Atmosphere and Environment della Monash University (Australia) ed uno tra i massimi esperti della vulcanologia mondiale ha così commentato. «L’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. è una delle più iconiche nel campo della vulcanologia fisica. Le osservazioni su questa eruzione, così come gli innumerevoli studi sui depositi e l’interpretazione dei processi eruttivi, sono alla base di molti dei concetti e della comprensione dei meccanismi delle eruzioni esplosive nella moderna vulcanologia. Una revisione di ciò che si sa sull’eruzione e sui suoi depositi è quindi molto importante per i vulcanologi e giustifica un documento completo e articolato, come questo articolo. Agli autori vanno fatte senz’altro le congratulazioni per i dettagli estremamente completi, estratti dall’enorme documentazione storica e dalla letteratura scientifica contemporanea su questa iconica eruzione».
In tutta questa storia, resta da capire perché Plinio il Giovane nella sua lettera a Tacito collocò la data dell’eruzione «nonum kal. septembres» ovvero nove giorni prima delle Calende di settembre, e quindi il 24 agosto.