Uno studio condotto dal Dipartimento di ingegneria civile e ambientale del Politecnico di Milano mostra il nesso tra la deforestazione e la diffusione delle malattie epidemiche.
La ricerca, che è stata pubblicata sulla rivista Scientific Reports, ha preso in analisi undici casi di virus ebola sviluppatisi nel periodo compreso tra il 2004 e il 2015. In particolare, sono stati analizzati i cosiddetti “pazienti zero”, vale a dire le persone che hanno rappresentato il primo contatto tra l’uomo e il virus.
Dalle ricerche è emerso che le zone in cui è avvenuto il primo contatto sono tutte legate da un fattore comune: la deforestazione frammentaria. Secondo le ricerche, l’ampiezza e l’irregolarità del perimetro tra le aree ricoperte da foreste e quelle, invece, deforestate causerebbe una maggiore probabilità di contatto tra le persone e i vettori del virus.
Quali sono le aree
Per studiare il paesaggio i ricercatori si sono affidati alle immagini satellitari e hanno formulato un indice che ha permesso di quantificare la frammentazione del suolo.
Lo studio ha preso in analisi diverse aree geografiche: Sud Sudan, Guinea, Repubblica del Congo, Repubblica Democratica del Congo e Uganda. In queste zone la deforestazione, a livello quantitativo, non è stata superiore rispetto a quella di altre zone africane. A cambiare, però, è il modo in cui il territorio è stato modificato: la frammentarietà ha reso più facile il contatto con gli animali che trasmettono il virus come – nei casi analizzati – i pipistrelli frugivori, ovvero quelli che si nutrono principalmente di frutta.
Questi animali, se cacciati dal proprio habitat naturale, tendono infatti ad affollarsi ai limiti delle foreste, aumentando il rischio di entrare in contatto con la popolazione e diffondere il virus.
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