Emblema di ribellione e di appartenenza, marchio di infamia, segno magico, ma anche accessorio di moda e simbolo di libertà. Nel corso degli anni, il significato sociologico dei tatuaggi è mutato considerevolmente.
«La pelle parla – racconta Paolo Macchia, professore dell’Università di Pisa e autore, assieme dalla dottoressa Maria Elisa Nannizzi, del volume “Sulla nostra pelle. Geografia culturale del tatuaggio” – e quello che abbiamo cercato di capire è come il tatuaggio nelle varie epoche storiche sia stato usato per esprimere idee, concetti e opinioni, in altre parole vogliamo far vedere come questa forma di comunicazione sia cambiata nel tempo assumendo sempre nuovi significati a seconda delle diverse culture».
Le ricerche che hanno portato alla stesura del saggio tracciano le coordinate di un viaggio complesso lungo tutto il globo durante le differenti fasi della storia umana.
«Ma siamo partiti dai dati disponibili, che tracciano una stima del fenomeno – spiegano i ricercatori –. Si scopre così, per esempio, che in Italia circa il 12,8% della popolazione sarebbe tatuata, in prevalenza persone dai 18 ai 44 anni, un dato in linea con la media Europea, che si attesta al 12%, ma ben al di sotto degli Stati Uniti dove la percentuale è al 30%».
Da segno punitivo a espressione di sé
La storia dei tatuaggi è lunga e complessa: nella Grecia e nella Roma antiche, il tatuaggio è stato utilizzato perlopiù a scopi punitivi e come stigma per marchiare fuggiaschi o prigionieri di guerra. Con la diffusione del Cristianesimo, che ripudiava ogni forma di marchio sul corpo, il tatuaggio perde invece la sua importanza, ma nonostante tutto è resistito durante il Medioevo dove, ironia della sorte, era particolarmente in voga fra i pellegrini.
Per tutto il periodo moderno, il tatuaggio ha mantenuto soprattutto un significato punitivo ed è stato usato per marchiare gli individui al margine della società, come prostitute, criminali e schiavi.
Ma una nuova fase di popolarità e di diffusione è cominciata a partire dal Sette e Ottocento, quando il tatuaggio è tornato in Europa a seguito delle esplorazioni e delle scoperte in Estremo Oriente e in Polinesia. Più di recente, il tatuaggio è diventato invece l’emblema dei grandi cambiamenti culturali che hanno stravolto il sistema politico-sociale globale a partire dagli anni ’60 del Novecento.
Il futuro dei tatuaggi
Oggi il tatuaggio ha assunto nuovi significati. «Se nei decenni scorsi il tatuaggio esprimeva tendenze e cambiamenti sociali, oggi sembra caratterizzarsi soprattutto a livello individuale, come un bene di mercato, soggetto a mode e continui cambiamenti del gusto – aggiunge Paolo Macchia – sebbene molti definiscano questa come una fase di banalizzazione e di svuotamento, essa è quella che ha dato definitiva affermazione globale al tatuaggio. Anche oggi la pelle è uno strumento di comunicazione, ma ciò che è diverso è il fatto che non parla più a un gruppo, ma al singolo e del singolo e, dunque, dato che non esiste più un linguaggio codificato per sapere cosa significa un tatuaggio, oggi occorre chiederlo a chi lo indossa».
I tatuati celebri
Il volume permette di scoprire anche tatuati insospettabili. Come Winston Churchill, che aveva un’ancora disegnata sull’avambraccio in ricordo dei tempi passati come corrispondente tra Cuba, India e Sudafrica; anche la madre, Lady Churchill, aveva un piccolo serpente sul polso che copriva, nelle occasioni importanti, con un bracciale.
Lo zar Nicola II di Russia aveva un dragone sul braccio sinistro e Federico IX, Re di Danimarca sfoggiava braccia e petto tatuati; mentre il presidente statunitense Theodore Roosevelt portava sul petto lo stemma araldico della propria famiglia.
riproduzione consentita con link a originale e citazione fonte: rivistanatura.com