Ci sono elefanti ed elefanti, in Namibia, ad esempio, ne esistono alcuni che vivono nel deserto e che hanno abitudini e attitudini ben diverse rispetto a tutti gli altri cugini africani.
Una popolazione in grado di adattarsi a situazioni molto diverse, grazie a comportamenti unici e soluzioni ingegnose utili per sopravvivere alle condizioni estreme delle zone in cui vivono.
Gli elefanti del deserto della Namibia si comportano in maniera così diversa da spingere gli scienziati a ipotizzare che le differenze possano essere addirittura genetiche.
Comparando il DNA di questi animali con altri della stessa specie (Loxodonta africana), ma provenienti da altri gruppi, un team di scienziati ha invece potuto scoprire che non ci sono differenze genetiche rilevanti.
I particolari comportamenti non sono quindi “scritti” nel genoma, ma fanno parte di quella che potremmo definire la cultura di quello specifico gruppo di elefanti. Si tramandano di generazione in generazione un bagaglio di conoscenze fondamentale per sopravvivere.
Una particolare adattabilità ad habitat molto diversi fra loro e alcuni comportamenti davvero ingegnosi: ad esempio, per abbassare la temperatura corporea hanno imparato a cospargersi il corpo di sabbia bagnata con urina o acqua, oppure si ricordano la posizione delle scarse risorse idriche e alimentari all’interno degli areali, insolitamente grandi rispetto a quelli di tutte le altre popolazioni di elefanti africani.
Il fatto che queste caratteristiche siano legate più ai comportamenti che alla genetica è davvero interessante: oltre a darci un’ennesima sorprendente conferma di quanto efficace e strutturata possa essere l’organizzazione socio-culturale di una specie animale, accende anche un campanello d’allarme sulla salvaguardia degli elefanti del deserto della Namibia.
Questi non vanno più protetti soltanto in quanto elefanti (che già di per sé basterebbe), ma anche perché sono custodi di conoscenze eccezionalmente preziose, oggi per loro stessi e, magari un domani, anche per altre popolazioni di elefanti.
Illustrazione: Silvia Venturi
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