Secondo Cicerone: “Non può essere veramente onesto ciò che non è anche giusto”. Il senso di giustizia ed equità è intrinseco negli uomini sin dalla notte dei tempi. Un recente studio dell’Erasmus University di Rotterdam ha scansionato le aree celebrali coinvolte nel senso di ingiustizia, scoprendo che il nostro cervello preferisce punire un malfattore piuttosto che compatire la vittima. Le persone sono particolarmente sensibili all’ingiustizia e all’iniquità proprio per l’esistenza di particolari reti neurali che reagiscono in caso di ingiustizie.
Dunque sono ragioni evolutive che ci hanno spinto nel corso dei millenni a rispondere così naturalmente alle azioni non eque e ingiuste.
Sarah F. Brosnan, psicologa specializzata in processi cognitivi afferma: «È improbabile che l’avversione all’ingiustizia sia apparsa ex novo negli esseri umani: si è evoluta quasi certamente perché gli individui che hanno risposto alla disuguaglianza svantaggiosa per sé stessi hanno aumentato il loro successo evolutivo, rispetto a quelli che non lo hanno fatto».
Negli animali esiste il senso di giustizia ed equità?
Se lo sono chiesto i ricercatori in uno studio capitanato dall’etologo olandese Frans De Waal e pubblicato su Nature, nel quale si sostiene che le scimmie, proprio come gli esseri umani, rispondono negativamente a distribuzioni disuguali di ricompensa, reagendo male alla disparità di trattamento. Lo studio ha testato in laboratorio diversi cebi dai cornetti ai quali è stato insegnato il baratto. Per ogni gettone consegnato al ricercatore ricevevano in cambio un cetriolo. Poi, però, dopo una serie di prove, ad alcuni individui, invece del cetriolo, fu consegnato un grappolo d’uva, molto più appetitoso del cetriolo. Allora le scimmie ricompensate con il cetriolo assumevano atteggiamenti di offesa e frustrazione, rifiutando di obbedire agli istruttori, oppure gettando via il cetriolo e arrabbiandosi con lo sperimentatore. «Questa scoperta suggerisce che i precursori dell’avversione all’iniquità sono presenti negli animali, da cui il nostro lignaggio si è separato milioni di anni fa» afferma De Waal.
Studi del genere sono stati portati avanti anche su altre specie, come per esempio i canidi. Secondo Jennifer Essler, veterinaria e coordinatrice dello studio, i lupi sono in grado di provare frustrazione come reazione a un’ingiustizia subita. Nell’esperimento, come per i cebi dai cornetti, un lupo riceveva un premio delizioso, mentre l’altro non riceveva nulla o riceveva un premio meno gustoso. In seguito alla disparità di trattamento, i lupi ingiustamente premiati si sono rifiutati di continuare l’esperimento come segnale di disaccordo e offesa. Il dato ulteriormente interessante è che più il lupo si trovava all’apice della gerarchia, più era sensibile all’iniquità della ricompensa.
Questa scoperta non solo è illuminante per gli studi di etologia comparata ma è importantissima perché dimostra che il senso di ingiustizia nei cani, precedentemente osservato, non è dovuto alla domesticazione, bensì innato nella linea evolutiva di Canis lupus.
In un altro studio, pubblicato sulla rivista scientifica PNAS, si osservò che gli scimpanzè avvertono tanto quanto l’uomo il senso del giusto e che persino la loro scala di valori ricalca quella umana. Gli scienziati hanno sottoposto gli animali a una sessione del gioco dell’ultimatum, in cui il primo giocatore decide come dividere la somma tra sé e l’altro giocatore, ma il secondo può accettare o rifiutare e in quest’ultimo caso nessun giocatore riceverà nulla, mentre nel primo caso il denaro sarà suddiviso in base alla proposta del primo giocatore. Gli scimpanzè hanno dimostrato un senso di equità normalmente attribuito solo all’essere umano, mostrando a loro modo di non sopportare una divisione non equa delle vincite tra due giocatori.
Insomma, il senso di iniquità è intrinseco in noi come in moltissime specie animali che, però, al contrario nostro, non hanno bisogno di giudici o di corti supreme.
La loro onestà fa parte di un’indole innata.