La Namibia a partire dal 2013 si è trovata periodicamente nella morsa della siccità. Quella del 2019 ha lasciato senza cibo e acqua circa 500mila persone: il presidente Hage Geingob l’ha definita un disastro naturale.
Vendita all’estero
Visti i tanti elefanti presenti sul territorio (circa 28.000), la scorsa settimana il governo ha deciso di metterne all’asta 170 di alto valore per venderli e diminuire la popolazione di pachidermi. Questo perché la carenza di piogge compromette gli habitat degli animali che, alla ricerca di cibo e acqua, si spostano verso i villaggi distruggendo abitazioni e campi coltivati.
Autorizzazioni
Gli elefanti della Namibia sono tra le specie più a rischio di estinzione a causa del bracconaggio, del commercio illegale di animali selvatici e di fattori ecologici. Il ministero dell’Ambiente, delle Foreste e del Turismo ha dichiarato che metterà all’asta gli elefanti a chiunque in Namibia o all’estero possa soddisfare determinati criteri rigorosi, tra cui strutture di quarantena e un certificato di recinzione in cui saranno tenuti gli elefanti. Gli acquirenti stranieri devono anche fornire la prova che le autorità di conservazione nei loro Paesi consentiranno di importare elefanti.
«Li vendiamo, così non siamo costretti a ucciderli» dice Pohamba Shifeta, Ministro dell’Ambiente. «Verranno venduti rispettando il loro benessere e chi li compra deve sottostare al regolamento CITES e non comprarli per ucciderli» garantisce.
Equilibri e caccia
La Namibia non è nuova a queste vendite: lo scorso ottobre ha offerto al miglior offerente 100 bufali selvatici, mentre lo scorso anno aveva annunciato la vendita di 600 bufali, 150 antilopi, 60 giraffe e 28 elefanti.
Come molte altre nazioni africane, la Namibia sta cercando di trovare un equilibrio tra la protezione di specie come elefanti e rinoceronti, gestendo al contempo il pericolo che rappresentano quando invadono aree di insediamento umano. Ma dall’anno scorso, lo Stato africano stava valutando la possibilità di ritirarsi dalle regole che governano il commercio globale di specie in via di estinzione.
Questo è stato detto dopo che i Paesi hanno votato durante una riunione della CITES per respingere le proposte per allentare le restrizioni alla caccia e all’esportazione dei rinoceronti bianchi. Il Paese, infatti, vuole consentire più caccia ai trofei e l’esportazione di animali vivi, sostenendo che i fondi che raccoglierebbero lo aiuterebbero a proteggere la specie.
Rewilding contro urbanizzazione
Il problema non sono gli elefanti che sono troppi. Il vero problema è il motivo per cui gli elefanti sono troppi. Sappiamo che l’ecosistema si basa su fragili equilibri e quando viene a mancare un anello nella catena trofica, qualcosa si rompe. Alcuni animali/piante spariscono, altri diventano troppi.
Invece di risolvere il problema eliminando gli animali in eccesso, dovremmo riuscire a ristabilire l’equilibrio naturale, con i giusti rapporti prede e predatori, competitori e risorse. Dovremmo riuscire a fare 100 passi indietro e mettere in atto operazioni di rewilding, invece di urbanizzare e colonizzare nuovi territori.
Gli elefanti sono animali importantissimi per le savane. Aprono nuovi percorsi e permettono agli animali di attraversare zone prima non percorribili, permettono ad altre specie di mangiare quegli alberi che se non fossero rotti non potrebbero essere accessibili… Ma sì, possono essere anche dannosi per l’ambiente e le popolazioni locali; come tutto, se è in eccesso. Ma la soluzione non è venderli. È ristabilire le condizioni di un ecosistema sano.
Un misero cerotto su un’emorragia
Eliminare dal territorio 170 elefanti su una popolazione di 28 mila è davvero poca cosa. Perché venderli? A chi? A qualche zoo? A qualche finta riserva dove finiranno per essere coccolati dai turisti? A qualche falso santuario che li utilizzerà come cornice per i selfie? Perché non decidere di attuare un’opera di ripopolamento laddove c’è bisogno?
Migrazione controllata e convivenza pacifica
Nel 2017, 520 elefanti vennero trasferiti a 320 chilometri di distanza. Lo hanno chiamato il “viaggio dei giganti”, un’operazione colossale durata due anni per ripopolare le riserve del Malawi, da un luogo in cui erano diventati troppi, nel Liwonde e Majete, e iniziavano a crearsi conflitti con gli abitanti delle zone. Erano questi i due obiettivi da raggiungere: una migrazione che doveva essere gestita dall’Uomo perché ormai i corridoi naturali non esistono più, modificati dai campi per le coltivazioni locali e resi pericolosi dalla presenza dei bracconieri e ristabilire le condizioni ideali per una convivenza pacifica tra Uomo e animali selvatici.
«Stiamo riducendo il conflitto nei due parchi sovrappopolati e creiamo le premesse per attirare turismo nel terzo, quello di destinazione, con benefici per le comunità locali. È una soluzione vincente sia per la gente che per la fauna selvatica» spiega il presidente di African Parks.
Un’impresa titanica sotto ogni punto di vista che ha visto 520 elefanti salvi dal bracconaggio, dai conflitti con le popolazioni locali e la cui presenza ha aiutato turismo e conservazione. Pensate che operazione magnifica!
In Namibia, invece, gli animali vengono venduti
Si attribuisce loro un valore, un prezzo e si mettono all’asta al miglior acquirente. Come fossero oggetti di antiquariato.
Dov’è la conservazione in un’azione del genere? Un progetto di business per creare liquidità ed entrate nel governo, ma non certo di tutela ambientale.
L’unica speranza è che a comprarli siano delle riserve naturali dove ci sono lodge e attività turistiche come i safari sostenibili, in cui quindi, gli animali vengano liberati e siano tutelati nelle loro necessità etologiche. Staremo a vedere, anche se, purtroppo, sarà difficile tracciare con sicurezza gli spostamenti dei pachidermi.
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