L’accumulo di animali è una realtà proteiforme e mutevole, poco indagata in Italia, spesso non perseguita e liquidata come un banale inconveniente igienico, che causa disturbo al vicinato. Nella realtà è un fenomeno complesso che non si può incasellare, perché ogni tipologia di accumulo ha storie diverse, alcune legate a patologie psichiatriche molto serie, altre legata a disturbi della personalità più lievi e meno impattanti, mentre alcuni casi attengono a comportamenti criminali inescusabili, motivati dal solo profitto.
Tantissimi mondi diversi
Dietro questo arcipelago, che spesso viene considerato come un fenomeno secondario, si nascondono tantissimi mondi diversi, che in comune hanno la sofferenza causata agli animali e, molto spesso, anche alle persone che compongono il nucleo familiare dell’accumulatore seriale.
L’animal hoarding o disposofobia, il termine con il quale questo disturbo della personalità viene tecnicamente definito, è da tempo riconosciuto come una malattia psichiatrica e per questo inserita nei manuali di riferimento, ma non deve essere confuso con i comportamenti messi in atto da chi vuol speculare sugli animali.
Nella condizione patologica dell’accumulo di animali il soggetto nutre quello che crede essere un sentimento amorevole nei confronti degli animali, che vengono raccolti ovunque ve ne sia possibilità e, molto spesso, questo avviene con una specie target, proprio come succede per quanti preferiscono i gatti piuttosto che i cani oppure i pappagalli.
Spesso sono le stesse autorità ad alimentare inconsapevolmente il fenomeno, consegnando a queste persone animali rinvenuti sul loro territorio che non sanno dove collocare, a causa della mancanza di strutture pubbliche per la loro accoglienza. Centri che sono previsti dalle varie normative ma che in Italia sono ancora diffusi a macchia di leopardo e che, molto spesso, sono gestiti dalle associazioni che si occupano della tutela degli animali. In questo modo finisce che la disponibilità all’accoglienza venga vista con favore dagli stessi organi che avrebbero il compito di controllare e reprimere i maltrattamenti sugli animali. Creando un circolo vizioso che rischia di non rompersi mai, anche per la difficoltà di coordinare interventi complessi per arrivare alla risoluzione del fenomeno.
Un amore patologico, inadeguato alla realtà
oltre l’incredibile per quanto riguarda lo stato degli animali, l’igiene dei luoghi e la quantità di oggetti accumulati. Se si chiede a un accumulatore quanti animali sono presenti nella casa in cui vive spesso la risposta è molto confusa, non per cercare di nascondere la realtà ma perché la persona con la realtà ha perso ogni contatto, perdendo così il conto di quanti animali siano effettivamente costretti a vivere in condizioni pessime. Questo causa un’impossibilità pratica di seguire e accudire gli animali, di individuare le patologie, di richiedere un aiuto dall’esterno: l’accumulatore ama patologicamente i suoi animali, ma non è in grado di valutarne la sofferenza. Per questa ragione, anche di fronte alla schiacciante evidenza, l’accumulatore patologico ripeterà che tutti i suoi animali sono in buone condizioni di salute e che lo sporco presente nell’abitazione è dovuto a un momentaneo impedimento. Eppure, secondo studi compiuti sul fenomeno hanno dimostrato che : “Negli USA, l’accumulo di animali rappresenta una delle maggiori cause di sofferenza per gli animali, al punto che gli accumulatori determinano più danni, dolore e morte agli animali rispetto agli episodi di crudeltà da parte di chi deliberatamente abusa di loro (Arluke e Killeen, 2009)”.
(continua…)