I primati sono gli animali più vicini alla nostra specie, intelligenti e soprattutto dotati del famoso pollice opponibile, quello che ha permesso anche agli uomini di percorrere il proprio percorso evolutivo con maggior successo, rispetto agli altri animali. Grazie al pollice opponibile scimmie e uomini hanno la possibilità di usare utensili, di prendere oggetti e di compiere molte azioni diverse. Quello che invece divide il nostro percorso evolutivo rispetto a quello delle scimmie è la disinvoltura con la quale, per profitto, noi umani causiamo indicibili sofferenze ad altre specie animali.
Nonostante gli abusi sulle scimmie siano documentati da molti anni l’associazione statunitense PETA ha da poco realizzato una nuova inchiesta sullo sfruttamento di varie specie di primati, tutelati dalla CITES in quanto in minacciate di estinzione, tenute in Thailandia come schiavi e utilizzate nelle piantagioni per la raccolta delle noci di cocco sulle palme.
Legate in catene e usate come schiave
Grazie alla loro abilità nell’arrampicarsi e alla loro capacità di apprendere le scimmie vengono ancora utilizzate per la raccolta e per questo vengono addestrate e detenute in situazioni davvero miserabili. Legate in catene, esposte alle intemperie e tenute in mezzo alla sporcizia: sono queste le condizioni che hanno potuto verificare gli investigatori dell’associazione, realizzando un’inchiesta che si è da poco conclusa in nove province della Thailandia, dove sono molto diffuse le piantagioni di palme da cocco.
Gli animali vengono allevati in gabbie fatiscenti e sporche oppure, come hanno dichiarato agli investigatori di PETA i proprietari, sono catturate direttamente in natura, pur nella consapevolezza che questo comportamento sia vietato dalle norme internazionali, oltre che da quelle locali.
Al termine della loro carriera gli animali, oramai condizionati e incapaci di vivere in libertà, vengono abbandonati al loro destino nella foresta, più per ignoranza che come ulteriore atto di crudeltà nei loro confronti. Però in questo modo le scimmie, incapaci di adattarsi alla vita libera, finiscono per morire di stenti.
La Thailandia si è pubblicamente impegnata nel contrastare questo sfruttamento illegale, fonte di gravi maltrattamenti agli animali, ma come spesso avviene in queste vicende, la lotta all’utilizzo delle scimmie nelle piantagioni è rimasta sulla carta, senza mai concretizzarsi veramente.
«Persone oneste si domandano perché animali sociali e sensibili come le scimmie siano ancora condannati al lavoro forzato nell’industria del cocco» afferma la vicepresidente per l’Europa di PETA Mimi Bekhechi.
«PETA invita a boicottare i prodotti al cocco thailandese fintanto che le autorità locali non facciano seguire fatti alle loro vuote parole, chiudendo i centri per l’addestramento di scimmie e dando sussidi per la piantagione di palme nane».
Boicottare i prodotti raccolti immoralmente
Il frutto di questo sfruttamento arriva anche sugli scaffali dei negozi italiani: per questo l’invito dell’associazione resta valido anche nel nostro Paese, dove i consumatori possono fare la differenza, con la giusta attenzione nei loro acquisti. Nel mondo globalizzato anche un prodotto apparentemente salutare come il latte di cocco e i molti derivati possono nascondere gravi situazioni di sfruttamento e crudeltà nei confronti di uomini e animali.