La prima volta che ci arrivai fu per caso, o forse per errore. Stavo vagando senza una vera meta sull’altipiano andino dell’Argentina settentrionale quando mi trovai di fronte a un bivio non indicato sulla mappa.
Senza pormi quesiti svoltai verso il lato opposto rispetto alla direzione naturale che avrei dovuto prendere. Poco più avanti incontrai una traccia che attraversava un lago salato sulla mia destra e si dirigeva verso le montagne. In lontananza vidi una minuscola chiazza colore verde smeraldo che contrastava con i colori tenui delle alture circostanti. Decisi di imboccare la pista e, saltellando tra i grandi blocchi di sale pietrificato che rendevano il fondo quasi impraticabile, procedetti senza mai poter ingranare nemmeno la seconda marcia.
Continuai fino a quando la salita non si fece troppo ripida per la mia piccola Ford Ecosport a due ruote motrici. Lasciata l’auto in mezzo alla pista procedetti a piedi tagliando per la massima pendenza. Poco dopo, e con grande stupore, individuai una costruzione e un recinto in pietra.
Mi avvicinai fino a quando un cane iniziò ad abbaiare. Successivamente apparve la testa di un uomo da dietro il muretto di recinzione. Mai avrei immaginato di incontrare segni di vita in una zona tanto remota della Terra. Avevo guidato per più di sei ore tra quei deserti d’altura da quando avevo lasciato l’ultimo centro abitato. L’uomo fece un cenno in segno di saluto e si sedette ad aspettarmi sul muretto.
Col fiato in affanno, per via dell’altitudine che superava i 3.500 metri, tentai istintivamente di accelerare per soddisfare la mia curiosità. Oltre l’uomo e il cane, mi trovai di fronte a un piccolo gregge di pecore. L’uomo, dalla pelle bruciata dal sole e dall’età indefinibile, si presentò e mi fece visitare la sua piccola proprietà.
Mi disse che viveva solo ma che ogni due o tre mesi andava a Antofagasta de la Sierra a trovare la sua fidanzata. Poi mi chiese se volessi vedere il geyser. Accettai e lo seguii fino a una vasca naturale alimentata con acqua termale. Mi disse che se volevo potevo approfittare dei benefici rilassanti di quell’acqua per poi proseguire.
Più in alto raggiungemmo la cima del grande geyser ormai non più attivo da tempo. Sotto di noi si estendeva sconfinato il lago salato reso accecante dal riverbero della luce.
Tornati all’abitazione mi mostrò una serie di minerali e cristalli che aveva raccolto e che offriva ai turisti che passavano a visitarlo. Gli chiesi quanti turisti passassero mediamente da casa sua e lui mi rispose che erano tantissimi. Stupito dalla sua affermazione gli chiesi una stima indicativa e lui disse che in un mese poteva ricevere addirittura una o due visite.
Per ringraziarlo dell’accoglienza e della disponibilità acquistai qualche minerale e un paio di guanti che aveva realizzato con la lana delle sue pecore.
Come ogni anno, anche oggi farò visita a Don Simòn. Per i miei compagni di viaggio si tratta di una sorpresa. È uno di quegli incontri che non si possono programmare e che se si verificano rendono surreale la giornata. Ci inerpichiamo su per la pista, portando i fuoristrada al limite dell’aderenza, fino a raggiungere la piccola casa in pietra. Ma oggi anche io vengo colto di sorpresa.
Don Simòn mi vede, mi riconosce, si avvicina e mi abbraccia in segno di riconoscimento per essere passato a trovarlo. Questa volta però non è solo. Un giorno all’anno tre dei suoi famigliari lo raggiungono per la “esquila”, cioè la tosatura delle pecore. Per loro è un giorno di festa, per noi fotografi un’occasione unica per documentare scene genuine di vita andina in uno scenario inverosimile per luce e colori.
Chiedo a Don Simòn di non interrompere la loro attività e di continuare a lavorare come se noi non fossimo presenti. Lui risponde che non potrebbe fare diversamente in quanto devono finire entro sera. E così, dopo un istante di pausa, una delle donne si alza, afferra un lazzo e facendolo roteare sulla sua testa si dirige verso un gruppo di pecore che Don Simòn aveva provveduto ad isolare.
Con un lancio preciso cattura uno dei capi che trascina al lato opposto del cortiletto dove lo attende una seconda aiutante già pronta con un grande paio di forbici che tiene tra e mani. In pochi minuti la bestia si ritrova nuovamente libera a alleggerita dal suo caldo manto.
Ci fermiamo a osservare l’operazione che si ripete più volte e che terminerà solo quando l’ultima pecora risulterà tosata.
Di fronte a noi abbiamo ancora diverse ore di marcia, dobbiamo quindi salutare Don Simòn e lasciarlo al suo lavoro. Facciamo i nostri omaggi alla sua oasi, alla sua vasca termale, al suo geyser personale e naturalmente ai suoi minerali che acquistiamo per ricambiare la sua gentilezza.
Domani mattina Don Simòn resterà nuovamente solo, anzi no, resterà nuovamente in compagnia delle sue pecore e del suo cane, di fronte ad uno degli scenari più straordinari che il nostro Pianeta possa offrire, in attesa che qualcuno passi a salutarlo.
Il momento dello scatto
Arrivato sul posto mi resi immediatamente conto dell’eccezionalità della situazione, sia per via di ciò che stava accadendo che per il contesto. Il cortile era piccolo, così non esitai a installare l’obiettivo più “corto” che avevo con me.
La donna si muoveva molto velocemente, così optai per un tempo di scatto piuttosto rapido. Vista la dinamica della scena sarebbe stato interessate provare un effetto mosso, ma luce era tanto forte che per ottenerlo avrei dovuto installare un filtro ND che però in quel momento non avevo con me. Decisi quindi di realizzare un’immagine “congelata”, sfruttando anche la forte intensità della luce.
Mi allontanai quanto possibile dalla scena per includere nell’inquadrature sia la donna che le pecore mentre tentavano di scappare. Infine mi chinai per dare al lazzo lo sfondo chiaro delle montagne, in modo da renderlo più visibile. Feci diversi scatti in sequenza per poter scegliere in seconda battuta la posizione più evidente del lazzo.
Dati tecnici
- Data: 30/11/2018
- Corpo macchina: Nikon D3s
- Obiettivo: Nikkor 17/35 f 2,8
- Lunghezza focale al momento dello scatto: 17 mm
- Apertura diaframma: F 8
- Tempo otturatore: 1/800 sec.
- Compensazione esposizione: – 0,3
- Sensibilità sensore: ISO 200
- Modo di ripresa: A (priorità di diaframmi)
VIAGGI FOTOGRAFICI di Davide Pianezze:
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