Si chiama obsolescenza programmata: è la strategia dei produttori volta a limitare il ciclo di vita di un prodotto in modo da favorirne gli acquisti.
Una strategia folle, ma essenziale nell’economia dei consumi e che interessa, in maniera particolare, i dispositivi elettronici.
Ma i piccoli device che ognuno di noi ha in tasca nascondono al loro interno chip e materiali che, per essere prodotti, richiedono un grande dispendio di risorse.
E se questi dispositivi potessero durare cinque anni di più, in Europa si risparmierebbero 10 milioni di tonnellate di emissioni di CO2, come se sulle strade del Vecchio Continente circolassero 5 milioni di autovetture in meno ogni anno.
La vita breve dei dispositivi
Il dato è emerso dallo studio commissionato dall’European Environmental Bureau (EEB). L’obsolescenza programmata non riguarda solo gli smartphone e i computer, ma anche i piccoli e i grandi elettrodomestici presenti nelle nostre case.
Secondo la ricerca, la vita media dei nostri acquisti è sempre più breve: un computer dura non più di 6 anni, una lavatrice 11,4 anni e un aspirapolvere 6,5 anni.
Il ciclo di vita degli smatphone è, invece, ancora più effimero. In media vengono cambiati ogni 3 anni e in Europa ne vengono vendute 211 milioni di unità ogni anno.
Riparare è un diritto
Pochi di questi dispositivi possono venire riparati e ancor meno trovano nuova vita nel riciclo.
Ma ai consumatori deve essere garantito il diritto a riparare il proprio device rotto a prezzi ragionevoli, in modo da scoraggiarne la sostituzione.
I gruppi dei consumatori hanno chiesto all’Unione Europea norme che favoriscano chi decide di riparare i dispositivi. E i primi dati sembrano essere incoraggianti: se nel 2004 solo il 3,5% degli utenti riparava il proprio telefono, nel 2012 il numero è arrivato a sfiorare il 10%.
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