La perdita di biodiversità rischia di costarci caro. E anche in termini economici, dal momento che è stato stimato che i danni ecosistemici potrebbero farci perdere una volta e mezzo il Prodotto Interno Lordo globale.
L’allarme è stato lanciato da Sir Robert Watson, chimico dell’atmosfera e, fino allo scorso maggio, presidente di IPBES, la Piattaforma intergovernativa promossa dall’Onu sulla biodiversità.
Stiamo perdendo 20 miliardi di dollari ogni anno
Secondo la stima di Watson, tra il 1997 e il 2011 il mondo ha perso tra i 4 e i 20.000 miliardi di dollari all’anno a causa del consumo eccessivo e scorretto del suolo e 6-11.000 miliardi di dollari l’anno per il degrado.
Per cercare di invertite la tendenza è necessario, prima di tutto, cambiare approccio. «I cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità non possono più essere considerati questioni separate, devono essere affrontate insieme e ora compromettono lo sviluppo economico, minacciano la sicurezza alimentare e delle risorse idriche e la salute umana, colpiscono principalmente i poveri e possono portare a conflitti – ha dichiarato Watson –. È essenziale che i governi, insieme al settore privato, affrontino immediatamente questa emergenza».
Perderemo un milione di specie viventi
Il rapporto Global Biodiversity Assessment on Biodiversity and Ecosystem Services, pubblicato da IPBES, stima che almeno un milione di specie viventi sono in via di estinzione nei prossimi decenni. Un numero impressionate, se si tiene conto che il totale delle specie viventi è stimato attorno agli 8 milioni.
Il tasso totale di estinzione delle specie è oggi a un livello che supera dalle decine alle centinaia di volte la media del livello di estinzione verificatasi negli ultimi 10 milioni di anni.
«Gli studiosi ritengono valida una stima del 10% complessivo di specie di insetti minacciati globalmente di estinzione – ha continuato Sir Robert Watson –. L’intervento umano ha trasformato significativamente il 75% della superficie delle terre emerse, ha provocato impatti cumulativi per il 66% delle aree oceaniche e ha distrutto l’85% delle zone umide».
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