Gli studiosi le chiamano “relazioni simbiotiche”: sono gli effetti di muto beneficio per piante e microbi all’interno delle grandi foreste del mondo.
Con dati provenienti da oltre 1 milione di foreste in tutto il mondo, uno studio – pubblicato su Nature, che gli dedicato la copertina – rivela la distribuzione delle associazioni simbiotiche e le loro importanti implicazioni negli scenari di cambiamento climatico. Allo studio ha partecipato anche la Fondazione Edmund Mach, con Lorenzo Frizzera, Damiano Gianelle, Mirco Rodeghiero (Centro Agricoltura Alimenti Ambiente), e MUSE, con il collaboratore Francesco Rovero (docente al Dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze), affiancando oltre 200 ricercatori della Stanford University.
La simbiosi tra le diverse forme di vita
Utilizzando dati provenienti da 1.1 milioni di siti nel mondo – con 28mila specie di alberi – la nuova ricerca ha permesso di individuare una legge biologica, battezzata “regola di Read”, in onore di Sir David Read, il botanico pioniere della ricerca sulle simbiosi.
Dentro le intricate radici dei suoli forestali, i funghi e i batteri scambiano nutrienti con le piante, in cambio di carbonio. I risultati delle analisi effettuate confermano che il clima, tramite la sua influenza sul processo di decomposizione, determina la distribuzione delle diverse tipologie di simbiosi.
Se le attuali emissioni di carbonio continuassero inalterate, nel 2070 si avrebbe una riduzione del 10% nella biomassa delle specie di alberi associati con un particolare tipo di funghi che si trova primariamente nelle regioni fredde del Pianeta.
Brian Steidinger, ricercatore post-dottorando a Stanford e primo autore del lavoro, ha spiegato: «I nostri modelli predicono enormi cambiamenti negli stati delle simbiosi delle foreste del mondo, cambiamenti che potrebbero influenzare il tipo di clima nel mondo che vivranno i nostri nipoti».
Il contributo italiano
«FEM ha contribuito con i rilievi fatti in 10 anni di ricerca nella provincia di Trento e con più di 500 rilievi in ambito forestale» spiegano i ricercatori Lorenzo Frizzera, Damiano Gianelle, Mirco Rodeghiero. «Questa ricerca è basata sui dati raccolti dalla rete Global Forest Biodiversity Initiative (GFBI), di cui facciamo parte insieme a colleghi da 70 Paesi nel mondo» spiega Francesco Rovero, collaboratore del MUSE e docente all’Università di Firenze.
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