L’obiettivo denominato “30×30”, ovvero il 30% della Terra protetto entro il 2030, è l’equivalente per la natura dell’obiettivo storico di 1,5 °C di riscaldamento globale fissato nei colloqui sul clima nell’ambito dell’Accordo di Parigi. Attualmente, il 17% della terraferma e l’8% dei mari sono protetti.
Ma, analogamente a quello che avviene sul tema del clima, i delegati che stanno negoziando un ampio accordo per la protezione della natura alla COP15 di Montreal sono divisi su come finanziare l’obiettivo e su come applicare la misura.
Per chi è troppo, per chi è troppo poco
Sudafrica, Russia e Arabia Saudita hanno chiesto un obiettivo limitato al 20%. Altri Paesi, come la Cina, il Giappone e la Corea del Sud, sostengono il 30% per la terraferma, ma vogliono un obiettivo meno stringente del 20% per i mari.
Alcuni Paesi dovranno accollarsi percentuali più alte, come quelli che ospitano aree strategiche per la biodiversità, come l’Amazzonia o il bacino del Congo.
Oltre alla quantità, c’è il tema della “qualità” delle aree protette: per esempio, l’inclusione nelle aree protette solo di terreni ecologicamente significativi e la garanzia che vengano attuate misure di protezione efficaci. Tutti temi sui quali la discussione a Montreal è ancora aperta.
Il problema delle popolazioni che abitano nelle aree protette
Le popolazioni indigene di tutto il mondo hanno mandato loro rappresentanti alla COP15 di Montreal per contestare quello che definiscono “l’approccio occidentale alla conservazione della natura”, ovvero la creazione di Parchi nazionali e Aree protette dove sono vietate le attività economiche e la permanenza delle stesse popolazioni indigene.
Le popolazioni locali che vivono in aree di interesse protezionistico chiedono, invece, che sia garantita la loro proprietà terriera e i loro diritto al lavoro. Premono anche affinché parte dei finanziamenti che i Paesi destineranno alla conservazione della biodiversità sia investito nelle comunità indigene, che da secoli sono in prima linea nella difesa del territorio e della natura nelle aree dove vivono.
Dal Canada, all’Africa – denunciano i rappresentanti delle culture e popolazioni locali – i grandi Parchi nazionali che escludono qualsiasi attività umana sono stati usati come un modo per “espropriare” territori e terre che appartengono ai popoli indigeni.
Attualmente le popolazioni indigene rappresentino solo il 5% della popolazione mondiale, ma sono distribuite su circa il 20% del territorio del Pianeta, in aree fondamentali per la lotta al cambiamento climatico e la conservazione della biodiversità, come la foresta amazzonica o il bacino del Congo.