Il 18 maggio 1980, il vulcano Mount Saint Helens, nello Stato di Washington (U.S.A.), generava una spettacolare e devastante eruzione, considerata dagli scienziati una delle più forti avvenute nel XX secolo.
Sono passati ormai 40 anni da quel giorno che resterà indelebile nella memoria degli americani e che ha visto le spettacolari immagini dell’eruzione fare il giro del mondo. Un evento che ha segnato la storia della vulcanologia moderna e che certamente, se accadesse oggi, genererebbe degli impatti ben differenti rispetto a quelli registrati quarant’anni fa. Facciamo adesso un passo indietro nel tempo, per ripercorrere la serie di eventi che portarono il vulcano a esplodere.
Prima dell’eruzione
Il Mount Saint Helens è uno spettacolare vulcano, prima del 1980 caratterizzato dalla forma quasi perfettamente conica, spesso ammantato di neve e circondato da immense e lussureggianti foreste. Il rilievo si specchia sul Lake Spirit, un lago che attraeva durante la bella stagione tantissimi visitatori.
Il 16 marzo 1980, dopo circa 120 anni di quiescenza, i sismografi della rete USGS iniziarono a registrare una crescente attività sismica. Dopo qualche giorno, in particolare il 27 marzo, il vulcano produsse le prime eruzioni con modesti pennacchi di cenere e tanto vapore d’acqua. Nel giro di una settimana il cratere sommitale si allargò di circa 400 metri e un enorme sistema di fratture si aprì attraversando l’intera area sommitale.
La frequenza eruttiva fu di 1 esplosione all’ora nel mese di marzo e di 1 al giorno nel successivo mese di aprile, fino al 22, giorno in cui l’attività cessò momentaneamente. Il successivo periodo eruttivo, caratterizzato da brevi emissioni di cenere, durò dal 7 al 17 maggio. Nell’arco di questo tempo il fianco settentrionale del vulcano si gonfiò verso l’esterno di circa 140 metri e al ritmo di circa 2 metri al giorno: segno inequivocabile che il magma stava risalendo verso la superficie.
La grande eruzione
Senza alcun segnale precursore preciso, alle ore 8:32 del 18 maggio 1980, un terremoto di magnitudo 5.1 con ipocentro nel cuore del vulcano scosse l’intera zona. Nel giro di pochi secondi l’intero fianco nord del vulcano, indebolito dalla continua attività sismica e dal vistoso rigonfiamento, collassò in una frana di dimensioni apocalittiche, che coinvolse un volume di roccia pari a 2.5 km3, l’equivalente circa di 1 milione di piscine olimpioniche.
Il collasso di settore portò alla rapida decompressione del magma intruso nel condotto del Saint Helens, dando di fatto inizio a una fortissima eruzione esplosiva. Il “lateral blast” dell’eruzione, caratterizzato da magma incandescente e gas, accelerò fino a circa 480 km/h, devastando un’area di circa 600 km2.
Nel raggio di 10 km dal vulcano nessun albero rimase in piedi, mentre nell’area più esterna la foresta fu bruciata dallo shock termico causato dal passaggio della nube eruttiva. Il vicino lago fu sepolto da migliaia di tronchi morti, mentre l’intera area fu ricoperta da uno spesso strato di cenere.
Nei pochi minuti che seguirono il collasso, si sviluppò l’eruzione vera e propria con la formazione di una gigantesca nube a forma di pino: la nube pliniana. L’eruzione durò 9 ore e fu accompagnata da numerosi flussi piroclastici, legati al collasso parziale della colonna, che interessarono il vulcano nel raggio di 8 km. 520 milioni di tonnellate di cenere furono iniettate in atmosfera, estendendosi verso gli Stati Uniti orientali e causando l’oscurità totale presso Spokane, città distante circa 400 km. Anche il Montana fu interessato dalla caduta di cenere, così come alcuni Stati centrali distanti oltre 1.500 km. La nube si estese a tutti gli Stati Uniti nel giro di tre giorni e fece il giro della Terra in 15 giorni.
Al termine dell’eruzione la montagna si presentava con una spaventosa voragine a ferro di cavallo: la cima era sparita, collassata su sé stessa ed il punto più alto del Saint Helens si trovava circa 400 metri più in basso.
Un laboratorio a cielo aperto
Quella del Saint Helens è stata la prima grande eruzione esplosiva a poter essere studiata direttamente dagli scienziati e osservata attraverso le reti di monitoraggio. Gli eventi furono quindi fotografati sin dall’inizio, anche utilizzando gli elicotteri, fattore che ha enormemente migliorato la comprensione dei fenomeni vulcanici.
Alcuni studiosi hanno persino perso la propria vita, quasi eroicamente, continuando fino all’ultimo a osservare e comunicare i dati raccolti. L’eruzione ha inoltre contribuito a migliorare enormemente i sistemi di monitoraggio e di allarme e ha sottolineato l’importanza di una lettura multidisciplinare dei dati, con il fine di anticipare la cronologia degli eventi.
In quest’ottica, l’eruzione del Saint Helens ha ricordato l’importanza di riunire le varie discipline di cui si serve la vulcanologia, per creare team di studio multi-specializzati dove ogni ricercatore o scienziato contribuisce all’interpretazione dei differenti segnali geochimici, geofisici, geologici o idrologici, che accompagnano la risalita dei magmi verso la superficie terrestre.
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