Nel 1992 la Union of Concerned Scientists (UCS), un’organizzazione internazionale di scienziati, pubblicò un documento sottoscritto da 1700 luminari per mostrare all’umanità intera alcuni indicatori allarmanti: dalla deforestazione alla scarsa disponibilità di acqua dolce, dalla distruzione della biodiversità ai cambiamenti climatici fino alla continua crescita della popolazione. In sostanza le attività umane stavano distruggendo gli ecosistemi con una rapidità senza precedenti.
Venticinque anni dopo, la comunità scientifica lancia un secondo appello universale per la salvaguardia della Terra. Questa volta a firmarlo sono 15.300 ricercatori di 184 Paesi, tra cui alcuni italiani. Il documento intitolato “World Scientists’ Warning to Humanity: A Second Notice” è stato pubblicato di recente dalla rivista scientifica BioScience
A distanza di un quarto di secolo, il solo risultato positivo raggiunto è stata la stabilizzazione dello strato di ozono della stratosfera – che all’epoca figurava in testa agli allarmi – mentre non ci sono stati sufficienti progressi nella risoluzione delle altre emergenze previste. Anzi, molte di esse stanno peggiorando. I cambiamenti climatici sono diventati la sfida prioritaria. L’appello degli scienziati chiama in causa i leader politici, i media ma anche i semplici cittadini: non bastano le azioni dei governi, serve anche un cambiamento dei comportamenti individuali, come limitare il numero delle nascite e diminuire il consumo pro-capite di combustibili fossili, carne e altre risorse.
Il documento riconosce che in questi 25 anni sono stati fatti alcuni progressi anche nella riduzione dell’estrema povertà e della fame, nei tassi di fecondità in molte regioni del mondo dove si è investito nell’educazione delle donne e nel settore delle energie rinnovabili. Resta però moltissimo da fare sulla strada verso la sostenibilità: dall’istituzione di riserve terrestri, marine e di acqua dolce al mantenimento degli ecosistemi con la riforestazione, dalla riduzione dello spreco alimentare alla promozione delle nuove tecnologie green. Gli scienziati insistono anche sulla questione della sovrappopolazione, cresciuta di altri due miliardi in 25 anni, un aumento del 35 per cento dal primo avvertimento.
Questo secondo appello cade in un contesto globale profondamente cambiato. Oggigiorno puntare alla sostenibilità sembra essere diventato un imperativo ineludibile. Qualcosa induce all’ottimismo. Se non altro il fatto che gli effetti scaturiti dalla perdita di biodiversità e dai cambiamenti climatici paiono ormai evidenti agli occhi dell’umanità. Qualcos’altro invece getta un’ombra sulle effettive capacità di fermarci un passo prima del baratro. Già nel 1972 fu pubblicato “I limiti dello sviluppo”, primo rapporto del Club di Roma fondato da Aurelio Peccei che, grazie al contributo del Massachusetts Institute of Technology (Mit), anticipava i problemi della sostenibilità.
Oggi molti criticano i toni catastrofisti di quel lavoro e denunciano il fatto che alcune delle previsioni formulate allora si sono rivelate errate. Premesso che non è certo possibile commentare la complessità di quel rapporto in poche righe, è forse più utile ricordare che lo studio aveva innanzitutto lo scopo di sollecitare una presa di coscienza e di responsabilità da parte delle istituzioni e dei cittadini. Ecco, forse in tal senso si può dire che il Club di Roma ha fallito. Difatti vent’anni dopo è stato necessario un altro appello degli scienziati. E poi un altro ancora oggi. E magari ne occorrerà pure un altro domani, se ci resterà altro tempo.
riproduzione consentita con link a originale e citazione fonte: rivistanatura.com