Francesco Tomasinelli – naturalista e fotografo, inviato speciale de La Rivista della NATURA – ci porta, in quattro puntate, in India alla scoperta del Corbett National Park, uno degli ultimi regni della tigre.
Scorgerne una nelle intricate foreste indiane non è per niente semplice. Ma esiste un posto dove è possibile trovarsi a tu per tu con le “mangiatrici di uomini”, che un tempo terrorizzavano gli abitanti di queste terre e oggi sono diventate un indiscusso simbolo di forza e carisma da salvaguardare: il Corbett National Park.
Qui la foresta sembra un gigantesco labirinto formato da alberi che si contorcono e accavallano gli uni sugli altri e da liane che penzolano dai rami più alti e sprofondano nel sottobosco di arbusti e palme. Anche se sono già le cinque del pomeriggio la temperatura non accenna a scendere sotto i 30 gradi: in India la stagione secca, che corrisponde alla nostra primavera, è implacabile e anche dove ci troviamo – sotto la volta delle foreste stagionali del parco, al confine con il Nepal, il primo parco nazionale indiano istituito nel lontano 1936 – fa caldissimo.
Falso allarme
Quest’area protetta corrisponde esattamente all’immagine che si ha della “giungla”, intricata e piena di mistero, come era stata descritta due secoli fa da Rudyard Kipling nel suo capolavoro “Il libro della giungla”.
Appostati all’interno di un piccolo fuoristrada Suzuki, io e Nirankar Singh, la mia guida in questa avventura indiana, aspettiamo che la regina della foresta, la tigre del Bengala, si mostri nella sua magnificenza. Il richiamo di allarme emesso da alcuni cervi chital a breve distanza indica che molto probabilmente nei paraggi si trova un grande felino. E, poiché in questa parte del Parco, sulle sponda sud del fiume Ramganga, i leopardi sono molto rari, il motivo del trambusto non può che essere la tigre. Dopo il primo bramito fermiamo il 4×4 su una piccola strada forestale e restiamo in attesa, guardandoci attorno armati di pazienza e binocoli.
Passano in un baleno circa venti minuti durante i quali ci intrattengono i voli territoriali di un meraviglioso pigliamosche del paradiso, piccolo uccello il cui maschio vanta un capo blu scuro, corpo bianco e due lunghissime piume sulla coda simili a trecce, che si muovono freneticamente durante i rapidi voli tra i rami. D’improvviso le fronde delle palme cominciano oscillare e percepiamo un flebile calpestio di foglie. «Fa troppo rumore per essere una tigre», mi sussurra Niankal, forte della sua esperienza decennale nella foresta. Pochi istanti e, infatti, dalla vegetazione esce un cervo muntjac, tipico abitante del sottobosco. Delle dimensioni di un grosso cane e dotato di due curiosi canini che emergono dalla mascella, è una delle prede tipiche della tigre, ma non sembra affatto allarmato, segno che il momento giusto ormai è passato ed è meglio spostarci altrove.
Mai a piedi nella giungla del Corbett National Park
Trovare la tigre nella foresta è un’arte vecchia di secoli che richiede esperienza e molta pazienza. E il colonnello Jim Corbett, cui è dedicato questo parco naturale, ne fece un motivo di vita. Nato nel 1875 nell’allora India britannica, infatti, dedicò oltre trent’anni della sua esistenza a inseguire le tigri, inizialmente per cacciare gli individui considerati “mangiatori di uomini” e, in un secondo momento, per fissare sulla pellicola fotografica i meravigliosi predatori in quelle che sarebbero diventate le prime immagini scattate in natura a questi felini. Nelle prossime puntate di questo viaggio, approfondiremo la sua conoscenza.
La giungla del Corbett è un ambiente in cui è complicato muoversi: si sviluppa su una serie di colline irregolari con un’altitudine tra i 200 e i 500 metri e versanti spesso scoscesi. Sebbene non sia caratterizzata dall’impenetrabilità di altre foreste tropicali e sia composta in massima parte dal sal (Shorea robusta), un grande albero simile al nostro tiglio, è vietato avventurarcisi a piedi (oltre che molto pericoloso) e ci si muove solo con i mezzi sulle poche strade forestali disponibili. Per trovare la tigre, quindi, è indispensabile, più che il binocolo, saper “leggere” i segnali della sua presenza: il richiamo nervoso di un cervo, una scimmia langur che guarda insistente in una direzione o un inatteso volo di uccelli nel sottobosco. Ovviamente senza tralasciare le orme, anche se sono soltanto delle tracce accennate nella polvere che ricopre le piste.
Turisti in crescita
Il felino è l’emblema dell’orgoglio nazionale indiano, simbolo di forza e carisma. Oggi, un numero crescente di indiani benestanti comincia a considerare la natura non solo come una riserva di risorse cui attingere, ma anche come un luogo di svago, di piacere e di riscoperta delle proprie radici. Per questo il numero di turisti locali nel parco è in costante crescita. Compressi sui piccoli fuoristrada, i visitatori del parco restano in allerta pronti a cogliere il minimo movimento dell’elusivo felino. «Have you seen the tiger? Avete visto la tigre?» è la domanda che si sente ripetere più spesso. La maggior parte delle persone arriva nel Corbett National Park esclusivamente per vivere l’incontro con il felino e poter raccontare, poi, di averlo visto almeno una volta nella vita.
L’incontro
Alla fine anche noi abbiamo potuto avvistare la nostra tigre, in ben tre occasioni – e in soli quattro giorni sul campo – l’ultima delle quali è stata la più emozionante. Il felino non si è fatto scorgere dalle torri di osservazione, grandi strutture nascoste nella foresta vicino a punti di passaggio o raccolte di acqua, dove l’abbiamo aspettata per un pomeriggio intero. E neanche all’alba, lungo le sponde del fiume. È stato un autentico colpo di fortuna: una giovane femmina è uscita dalla giungla verso sera, per avvicinarsi a un gruppo di cervi che proprio in quel momento stavo osservando. Nella totale sorpresa è arrivata alle nostre spalle e ci ha superato, destinandoci appena uno sguardo mentre ci passava a soli dieci metri di distanza.
Siamo riusciti a posizionarci appena in tempo per vederle sferrare il suo attacco: la tigre si è spostata di lato e si è avvicinata ai chital dal folto della vegetazione. Doveva essere era un po’ inesperta e muovendosi ha messo in allarme le sue prede: il suo sprint finale non è servito a molto. La regina della foresta si è rintanata sconfitta nella vegetazione, mentre noi faticavamo a riprenderci dall’emozione di aver vissuto un incontro così speciale. Sulla magia del momento, però, cala in breve tempo il buio della notte. È ora di rincasare, in questa parte della foresta la nostra è l’unica automobile rimasta.
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