Giove è sicuramente il più particolare tra i pianeti del Sistema Solare. Per cominciare è il più grande. Poi è composto principalmente da idrogeno ed elio e per questo viene definito il “gigante gassoso”.
Infine, osservandolo con il telescopio, si nota la caratteristica più iconica del pianeta: una Grande macchia rossa, studiata per la prima volta dall’astronomo (ma anche matematico, ingegnere, medico e biologo) italiano Giandomenico Cassini nel 1665.
Si tratta di una tempesta anticiclonica che assomiglia a un ovale di dimensioni approssimativamente pari a 16.000 x 12.000 km, che ne fanno la più grande tempesta del Sistema Solare. La Grande macchia rossa suscita ancora molti interrogativi: uno di questi riguarda la profondità con cui questa tempesta si inabissa dentro Giove e i motivi della sua durata straordinaria.
Questa scoperta potrebbe spiegare i motivi della sua evoluzione e forse della possibile prossima scomparsa, dopo almeno 350 anni di osservazioni.
I nuovi risultati delle misurazioni di gravità del pianeta ottenute dalla sonda Juno, realizzata dalla NASA con un importante contributo italiano, rivelano, in uno studio pubblicato su Science, che la grande macchia rossa, pur molto estesa, non è profonda come si immaginava.
Nuove misurazioni gravitazionali italiane
Durante due sorvoli ravvicinati di Giove (febbraio e luglio 2019), la missione (che orbita intorno a Giove dal 5 luglio 2016 per studiare i meccanismi di formazione, la struttura interna, la magnetosfera e l’atmosfera del gigante gassoso) ha osservato per la prima volta da vicino la Grande macchia rossa.
Le misure del campo gravitazionale del pianeta avevano mostrato che i forti venti est-ovest (con velocità fino a 360 km/h), visibili tracciando il moto delle nubi, si spingevano alla profondità di circa 3000 km.
Oggi, la nuova ricerca – finanziata in parte dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e coordinata da Marzia Parisi, ex-dottoranda della Sapienza, ora al California Institute of Technology/Jet Propulsion Laboratory, insieme a un gruppo internazionale di cui fanno parte Daniele Durante e Luciano Iess del Dipartimento di Ingegneria meccanica e aerospaziale della Sapienza, mostra come i venti della Grande macchina rossa abbiano una profondità di penetrazione verticale piuttosto contenuta, pari a circa 300 km.
«I risultati del nostro studio – spiega Daniele Durante – attestano una massa della tempesta pari a circa la metà dell’intera atmosfera terrestre e rappresentano la Grande macchia rossa come un oggetto molto simile a un disco assai esteso, ma piuttosto sottile, con caratteristiche che ricordano quelle delle più grandi tempeste terrestri».
Questa nuova misura contribuirà a capirne la natura, l’evoluzione e, forse, la sua possibile scomparsa.
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