L’ultima scoperta nel campo della sismologia è quella dei cosiddetti terremoti silenziosi (silent quake), ovvero eventi sismici in cui, a differenza dei tradizionali terremoti che ben conosciamo, avvengono rotture e movimenti delle faglie in modo molto lento, percettibile solo da speciali strumenti, come sismografi ma anche radar e GPS.
Infatti, mentre un normale movimento tellurico avviene in pochi secondi, questi ultimi tipi di terremoti avvengono in modo progressivo con una durata anche di molti mesi. Il che non esclude che non possano essere anche molto violenti, come quello di magnitudo 7.0 avvenuto in Nuova Zelanda nel 2013.
Quello che i geologi stanno ora cercando di capire è se i terremoti silenziosi, che parrebbero più comuni di quel che si pensava all’inizio delle ricerche, possano in qualche modo essere precursori dei classici e più distruttivi terremoti, magari in zone anche molto lontane da quelle dove si è manifestato il primo sisma.
A questo proposito uno studio degli scienziati della Oregon State University in cui sono stati esaminato ben 44 anni di dati sismici “tradizionali” (dal 1973 al 2016) ha evidenziato prove piuttosto evidenti del fatto che terremoti di magnitudo 6.5 o superiori innescano altri terremoti di magnitudo 5.0 o superiori. Pertanto l’analisi di movimenti silenziosi delle faglie sarebbe molto importante anche per tali considerazioni.
Tuttavia al presenza di questo tipo di sismi in realtà potrebbe essere anche una sorta di vantaggio, dal momento che molta energia si scaricherebbe in questo modo, senza raggiungere la pericolosa soglia di un terremoto tradizionale.
È quello che ha ipotizzato un’altra recente ricerca realizzata questa volta in Italia, dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) e dall’ Istituto per il rilevamento elettromagnetico dell’ambiente del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Irea-Cnr) e durata dal 2010 al 2014 in una zona del massiccio del Pollino, tra Basilicata e Calabria. Tale ipotesi spiegherebbe perché, rispetto al resto dell’Appennino, i terremoti di magnitudo più elevata sono relativamente meno frequenti nell’area del Pollino.
Tutto ciò conferma comunque come anche la crosta terrestre, ovvero la “pelle” del nostro Pianeta, sia in continuo movimento e non lo faccia solo in occasione dei classici terremoti. Un elemento in più a conferma di quella famosa ipotesi Gaia dell’ecologo James Lovelock che suggeriva di considerare la Terra come un vero e proprio super-organismo, una sorta di Pianeta vivente.