I terremoti che hanno colpito negli ultimi venti anni l’Italia, ce li ricordiamo molto bene. Non solo per le violente scosse che li hanno contraddistinti, ma anche per il lungo sciame sismico che si è verificato successivamente. Dopo il danno, la beffa, e la consapevolezza – per le tante famiglie colpite dal dramma – di non poter mai fare sonni tranquilli. Ora, però, gli studiosi del CNR stanno mettendo in evidenza il motivo per cui in Italia i terremoti non si risolvono mai in una sola scarica di energia; spiegando che esistono due tipi di eventi sismici, espansivi e compressivi. Quelli espansivi riguardano terremoti innescati da faglie che si allontanano; quelli compressivi da faglie che si avvicinano, spingendo una contro l’altra.
I terremoti espansivi
Ebbene, i ricercatori hanno concluso che i terremoti italiani fanno quasi tutti parte del primo gruppo: a una forte scossa, ne seguono molte altre che si possono esaurire anche dopo 1200 giorni. Al contrario nei compressivi la scossa principale è magari più potente ma poi lo sciame sismico non prosegue per più di 600 giorni. Un ruolo fondamentale è giocato dalla gravità. Nei terremoti espansivi la crosta si muove in favore di quest’ultima, quelli compressivi, opponendosi, e dunque liberando molta più energia che non ha bisogno di essere rilasciata nelle successive scosse di assestamento.
La fragilità dell’Italia
Per giungere a questi risultati gli scienziati del CNR hanno passato al setaccio le sequenze sismiche di terremoti di magnitudo compresa fra 5,9 e 8,8 verificatesi in Italia, Algeria, Turchia, Nepal e Cina. L’Italia rimane dunque fra i paesi più sensibili al sisma dell’intero Mediterraneo. Dei 1300 eventi distruttivi avvenuti negli ultimi duemila anni 500 hanno interessato la nostra nazione. Il motivo risiede nella convergenza fra la placca euroasiatica che spinge contro quella africana, in corrispondenza di una delle zone di subduzione più importanti del mondo intero.
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