Tutti parlano di economia in ripresa e di un’Italia che sta ripartendo. Il rilancio del Paese è la parola d’ordine adatta a promuovere qualsiasi offerta. Enel ha lanciato l’hashtag #guardiamoavanti per spronare gli italiani a costruire nuove eccellenze di cui andare fieri. Autostrade per l’Italia ha avviato il progetto “Sei in un Paese meraviglioso. Scoprilo con noi”. C’è una sano desiderio di rialzare la testa, ma le parole, si sa, a volte ingannano. Alcune aziende che sono state corresponsabili prima della deturpazione e poi del declino dell’Italia oggi usano toni demiurgici, mentre i rappresentanti delle istituzioni impreziosiscono le loro passerelle televisive inneggiando alla bellezza di una nazione unica al mondo. La realtà è un’altra. Pur possedendo il più vasto patrimonio artistico e storico-archeologico e pur vantando bellezze paesistiche e naturali che tutti ci invidiano, stiamo perdendo ogni primato.
Ad ogni nuovo esecutivo il patrimonio culturale viene evocato come risorsa di sviluppo. Ma il Belpaese, ossia quella parte d’Italia che corrisponde in modo autentico all’appellativo poetico, resta al palo, non decolla. Si annunciano riforme, ma al più si vedono solo azioni timide e frammentarie.
Cosa aspetta lo Stato a coordinare arte e storia, aree protette e paesaggi unici, folclore e tradizioni agro-ambientali?
Tutto questo dovrebbe diventare il cuore pulsante di una vera rivoluzione, finalmente capace di valorizzare ciò che abbiamo e ci identifica. Sì, anche da noi si fa un gran parlare di green economy e turismo sostenibile, ma nessun governante ha presentato un piano organico incentrato su ambiente, paesaggio, agricoltura e beni culturali. Questi temi sembrano destinati a restare ancora una volta in soffitta, spolverati solo durante qualche convegno.
Mentre milioni di italiani sono senza un lavoro, ampie parti del Paese crollano per mancanza di cure. C’è una sinistra affinità fra il nostro fragile paesaggio devastato dall’incuria e il tessuto sociale che si dissolve sotto i colpi impietosi della disoccupazione. Possiamo continuare a guardare alla mancanza di lavoro e di prevenzione come a fatalità ineluttabili. Oppure possiamo agire. Oggi agire significa trasformare la cura dello Stivale e dei beni che ospita in un’emergenza nazionale. Il 13% del territorio è a rischio frane. E una larga fetta dei nostri musei minaccia la chiusura per mancanza di risorse. Fabio Donato, professore ordinario di Economia e Management all’Università di Ferrara, ha coniato un’espressione efficace per commentare la cronica incapacità italiana di investire sulla cultura: siamo il Paese dei “Dead museum walking”. Investendo sul risanamento del territorio e la valorizzazione del patrimonio artistico e paesaggistico potremmo creare nuova occupazione e offrire al resto del mondo un’immagine finalmente degna del grande passato di cui amiamo vantarci e del quale, peraltro, non abbiamo alcun merito, perché tutta questa bellezza l’abbiamo ereditata e, anzi, ora la stiamo divorando.
Invece, i primi segnali che stanno accompagnando la presunta risalita sembrano già indicarci che abbiamo ripreso la vecchia strada. Quella segnata dal disprezzo per il territorio e la natura e dalla sacralità della merce e del suo consumo. La folle e disperata rincorsa al superfluo sembra pronta a ripartire con vigore, sostenuta da abili campagne commerciali e sempre più accompagnata dallo squallore e dal degrado delle condizioni culturali di ampie fasce di cittadini, giovani e meno giovani, illusi di potersi affrancare dalla loro condizione indossando scarpe e occhiali griffati oppure guidando un’automobile che il più delle volte assorbirà gran parte delle loro disponibilità economiche.
“Ha da passa’ ‘a nuttata”. Sembra essere riassunta da questa celebre battuta la lettura della crisi che abbiamo attraversato e dalla quale non siamo ancora del tutto usciti. Così almeno sperano in tanti. Si resta col fiato sospeso, fiduciosi che tutto presto riprenderà come prima. In ogni caso negli spot e nelle conferenze stampa troveremo sempre qualcuno pronto a spiegarci che il paesaggio italiano va difeso, curato e amato, prima che scompaia del tutto.
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