Passeggiare e perdersi. Divagare, meditare, osservare. Sono tutte parole che il linguaggio contemporaneo dell’alta velocità, della rete, della fretta e della paura di frenare non accetta più.
Viviamo in un mondo dominato dalla tecnologia, la stessa tecnologia che mi consente di scrivere ora e raggiungere fra pochi minuti migliaia di lettori. Un fatto eccezionale quanto pervasivo, tanto al punto che non ci rendiamo neanche più conto della sua straordinarietà. La tecnologia ha reso possibili gesti e azioni che solo qualche decennio fa erano impensabili. Rischiamo di scordarci, però, che resta un mezzo, non un fine.
È tutto progresso quel che luccica? Se non abbiamo ricavato un minuto di vita “libera” in più dal progresso, la risposta è no. La tendenza diffusa del nostro tempo è quella di compulsare su ogni aggeggio elettronico a portata di mano dimenticandoci di tutto il resto che ci gira intorno, e che un tempo non troppo lontano chiamavamo vita .
Fra i gesti che stiamo abbandonando con preoccupante rapidità c’è quello di camminare. Sia chiaro, non sto parlando della marcia forzata verso la fermata di un autobus o un parcheggio e neppure della monotona scarpinata fra le vetrine che si susseguono all’interno di una simil-città (leggasi centro commerciale) sradicata da qualsiasi luogo definito sulla superficie terrestre. Sto parlando piuttosto del gesto di camminare fine a se stesso.
Camminare per ritrovare non solo il piacere di viaggiare, ma anche quello di vivere, come diceva Tiziano Terzani. Nel 1993, spinto dalla profezia che un vecchio indovino cinese gli aveva rivelato anni prima, cominciò a girovagare per l’Asia in treno e, soprattutto, a piedi: “Non avevo più angosce, non sentivo più come un dramma il passare delle giornate, ascoltavo chi mi parlava, godevo di quel che mi succedeva attorno, avevo agio per mettere ordine nelle mie impressioni, per riflettere. Avevo tempo e silenzio: qualcosa di così necessario, di così naturale, ma ormai diventato un lusso che solo pochissimi riescono a permettersi”.
Avere tempo e silenzio. Passeggiare e perdersi. In questi tempi difficili non rinunciamo all’unico lusso che ci è rimasto: mettersi in marcia. Come un antico pellegrino attraverso i campi, le strade e le foreste. Con la stessa fede piena di incertezze con cui i penitenti medievali marciavano verso i santuari, domandandosi a ogni passo se valesse la pena di continuare. E tuttavia convinti che ci fosse un solo modo per avere la grazia: procedere. Solvitur ambulando, camminando tutto si risolve.
Puntata precedente: Camminando si risolve
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