Sentiamo spesso deplorare il degrado morale e le miserevoli condizioni di vita in cui siamo caduti. Eppure – come mi faceva notare giorni fa un amico – noi europei stiamo attraversando un’epoca di prosperità senza precedenti. Un secolo fa il nostro continente era chiamato a fare i conti con le devastazioni della Grande Guerra, due secoli prima con le conseguenze delle Guerre napoleoniche. Oggigiorno invece gode di un ordinamento di pace durevole che tra alti e bassi ha diffuso benessere e progresso sociale.
Sul fronte della democrazia e dei diritti umani sono stati compiuti passi da gigante: il diritto di voto alle donne, l’autodeterminazione delle nazioni, il tracollo delle dittature, la libertà d’opinione, l’integrazione tra i popoli. Non è stato da meno il cammino della scienza e della medicina, basti solo pensare ai numerosi rimedi contro alcune malattie infettive mortali che sono stati sviluppati tra il XIX e il XX secolo permettendo di scongiurare epidemie che in passato avevano provocato milioni di morti. Le innovazioni tecnologiche poi hanno letteralmente rivoluzionato il nostro modo di vivere e di produrre: computer, cellulari e Internet, ma prima ancora corrente elettrica, automobili e aeroplani, laser e via discorrendo
Siamo talmente immersi nella nostra epoca che neppure ci accorgiamo dei vantaggi scaturiti dalle scoperte lontane e vicine. Oggi la maggior parte delle persone vive meglio di quanto non facesse in passato: l’aspettativa media di vita è cresciuta, la fatica fisica si è alleggerita, il benessere si è diffuso. Perché allora serpeggia fra molti il malcontento e un senso di smarrimento?
La nostalgia del passato può spiegare simili atteggiamenti solo in parte. Per tutto il resto ci sono situazioni di disagio concrete. Certo viviamo in un’era storica nel segno della pace, della democrazia e dei diritti umani – almeno in Europa – tuttavia le crisi e le tensioni internazionali ci fanno avvertire uno stato di pericolo permanente che sperimentiamo nelle nostre vite quotidiane ogni volta che prendiamo un aereo, saliamo su un mezzo pubblico, ci troviamo in un luogo affollato. Qualcuno si è spinto a dire che l’umanità è tornata a vivere in un mondo instabile, quasi come un secolo fa. Anche a casa nostra certi valori che consideravamo fondamentali e riconosciuti universalmente sembrano vacillare sotto i colpi dei populismi e dei nazionalismi dilaganti.
Pure la crescita economica e industriale sostenuta da una massiccia richiesta di beni di consumo ci mostra da tempo l’altro lato della medaglia: l’inquinamento delle acque e dell’aria, il consumo di suolo, la perdita di biodiversità. Le emissioni nocive prodotte dalle industrie, dalle abitazioni e dal sistema della mobilità sono responsabili di malattie e decessi, concorrono al riscaldamento globale e ai cambiamenti climatici che sono a loro volta fonte di disastri e fenomeni atmosferici estremi.
Il nostro Pianeta è al centro di una crisi ambientale senza precedenti: problemi annosi come quello della sovrappopolazione si sommano a nuovi allarmi.
Se da un lato possiamo gioire perché alcuni Paesi si stanno affrancando dallo stato di povertà, dall’altro crescono le preoccupazioni per le condizioni di salute della Terra. Dopo l’avvento della globalizzazione, la cultura consumistica che pone al centro della vita il materialismo – e che fino a qualche decennio prima era stata prerogativa delle civiltà occidentali – sta valicando anno dopo anno nuove frontiere. Il mainstream del capitalismo estremo divulga un unico stile di vita improntato all’appiattimento delle culture e delle tradizioni al fine di uniformare i desideri e spingere il cittadino a diventare prima di ogni altra cosa un consumatore.
In ogni periodo della storia vi sono state forti disuguaglianze, ma certo fanno riflettere i dati riportati nell’ultimo rapporto dell’Ong Oxfam: oggi le otto persone più ricche del mondo possiedono tanta ricchezza quanto la metà più povera dell’intera popolazione, ossia 3,6 miliardi di abitanti. E sbaglia chi crede che questi ultimi siano concentrati perlopiù in Africa, Asia o Sud America: l’Economist fa notare che la gran parte dei più poveri tra i poveri si trovano in Europa e negli Stati Uniti. Questo per la verità è un dato che va chiarito: i dati sulla povertà diffusi da Oxfam provengono in realtà da uno studio della banca Credit Suisse che misura la “ricchezza netta”, cioè la differenza tra beni posseduti e debiti. Ciò fa sì che i più poveri non sono coloro che non possiedono nulla, ma quelli che hanno più debiti che patrimonio.
Le ideologie che propugnavano un cambio radicale della società al fine di sconfiggere le disparità e garantire a tutti una vita migliore hanno fallito. Che fare allora? L’umanità è destinata alla totale disuguaglianza e la Terra al saccheggio infinito?
La parola d’ordine che s’insinua, sebbene a fatica, nelle strategie mondiali più avanzate è sostenibilità: economica, sociale e ambientale.
Il «grido del pianeta», per riprendere un’efficace espressione di Papa Francesco amplifica quello dei poveri e degli emarginati. Tutti in attesa di risposte, che se tardano ad arrivare rischieranno di essere vane. Serve trovare un nuovo equilibrio nell’economia mondiale e non è affatto facile. Le sfide sono molteplici: sconfiggere la povertà, ma senza mettere ancora più a rischio il Pianeta, combattere inquinamento e cambiamenti climatici, ma senza svilire la creazione di valore economico, condizione necessaria per la lotta all’indigenza.
I mercati finanziari – che sono spietati, cinici e cattivi, ma che hanno la prerogativa di anticipare l’economia reale – forniscono qualche risposta. Per esempio con il paradosso della Tesla: la società di auto elettriche che fa capo al milionario visionario Elon Musk, pur essendo da anni in perdita è arrivata lo scorso anno a superare Ford in termini di capitalizzazione di mercato. Nel momento in cui scrivo questo articolo la prima ha superato i 58 miliardi di dollari contro i 46 della seconda.
Che cosa ci indicano questi dati se non che le imprese – in senso proprio e in senso lato – in grado di sopravvivere e prosperare nel futuro saranno quelle sostenibili?
riproduzione consentita con link a originale e citazione fonte: rivistanatura.com