Siamo portati a pensare che molte cose siano prerogative esclusive dell’uomo, come la musica; e se invece scoprissimo che anche gli animali emettono suoni con finalità estetiche e non solo comunicative?
Che cos’è la zoomusicologia
Se la musicologia identifica lo studio della musica, dei toni e dei suoni che le persone hanno trasformato in una forma d’arte e l’etnomusicologia inserisce lo studio della musica nel contesto degli aspetti culturali e sociali dell’uomo, la zoomusicologia si concentra sulle interazioni degli animali con la musica. Il termine zoomusicologia è stato coniato negli anni ’80 da François-Bernard Mâche, ma speculazioni riguardo l’utilizzo del suono per fini estetici da parte degli animali si sono sempre fatte, a partire dagli antichi greci e romani.
La zoomusicologia non è un campo di studio ben definito e sono molti gli scettici a riguardo. I critici sostengono che le attività estetiche, che sono forme d’arte degli esseri umani come la musica, l’arte e l’architettura, non possono essere analizzate negli animali perché essi non hanno le caratteristiche biologiche e le capacità intellettuali dell’uomo e che alcune delle loro azioni possono essere spiegate dall’istinto animale.
Il dott. Dario Martinelli, professore italiano di musicologia all’Università di Helsinki, ha pubblicato un articolo intitolato “Of Birds, Whales and Other Musicians – Introduction to Zoomusicology” per definire meglio il campo di studio della zoomusicologia.
La zoomusicologia si avvicina agli “animali non umani” dalla direzione delle scienze umane e alla musica dalla direzione delle scienze biologiche. La sua innovazione di base è l’affermazione che la musica non è un fenomeno esclusivamente umano, ma piuttosto un fenomeno a base zoologica. Tutto questo significa mettere in discussione le definizioni attuali della musica, a partire dalle sue connotazioni fortemente antropocentrica.
Il lavoro della dott.ssa Emily Doolittle
Una delle studiose più attive in questo campo è sicuramente la dott.ssa Doolitlle, compositrice e zoomusicologa. Lavorando con biologi austriaci e tedeschi scoprì degli schemi comuni nel canto del tordo eremita (Catharus guttatus). Decise di esaminare più da vicino il canto di questo uccello e per farlo rallentò e abbasso di alcune ottave la registrazione per renderla più avvicinabile dall’orecchio umano. In questo modo si rese conto che venivano utilizzate scale armoniche conosciute in varie culture umane.
Anche le megattere cantano
Negli anni ’50, l’ingegnere della Marina degli Stati Uniti Frank Watlington stava lavorando alle Bermuda in una stazione di ascolto segreta costruita per rilevare i sottomarini russi durante il culmine della Guerra Fredda. Durante alcuni periodi dell’anno, Watlington iniziò a sentire suoni insoliti e inquietanti provenienti dall’oceano e iniziò a registrali. Capì velocemente che questi suoni ultraterreni erano prodotti dalle megattere (Megaptera novaeangliae) che trascorrevano l’inverno al largo delle coste delle Bermuda. Contattò quindi il dott. Roger Payne, dell’Ocean Alliance, che insieme ai suoi collaboratori studiò le registrazioni e si rese conto che ciò che stavano ascoltando erano schemi ritmici fissi di suoni ripetuti, in altre parole canti.
Katy Payne, all’epoca la moglie di Roger, scoprì anche che tutte le megattere in una determinata area cantano versioni della stessa canzone, che cambia nel corso della stagione. In seguito, gli scienziati dell’Ocean Alliance scoprirono che le canzoni erano diverse tra le popolazioni di megattere.