Un nuovo studio suggerisce che l’abbattimento di animali alloctoni, cioè megafauna introdotta che “non appartiene” a un certo ambiente, può essere una pratica errata di conservazione della natura.
L’eliminazione di animali sulla base del fatto che non sono autoctoni al fine di proteggere le specie vegetali può essere una pratica errata costosa e che porta all’abbattimento di milioni di animali selvatici sani.
Si ritiene che i grandi erbivori introdotti abbiano impatti ecologici dannosi, tra cui il danneggiamento di piante e habitat sensibili, la riduzione della diversità vegetale autoctona e la facilitazione della diffusione di alloctone. Tuttavia, finora questi impatti sono stati studiati senza un confronto rigoroso con la megafauna autoctona.
Confronto alloctoni/autoctoni
La nuova analisi, condotta dai ricercatori dell’Università di Aarhus, in Danimarca, e dell’Università di Oxford, nel Regno Unito, ha confrontato gli effetti delle specie di grandi mammiferi classificate come autoctone e la megafauna introdotta.
I ricercatori hanno scoperto che i due gruppi di animali hanno avuto effetti indistinguibili sia sull’abbondanza, sia sulla diversità delle piante autoctone.
Il coautore dello studio, il dottor Jeppe Kristensen del The Environmental Change Institute, Università di Oxford, ha dichiarato: «Non troviamo prove a sostegno dell’affermazione che i grandi erbivori autoctoni abbiano un impatto diverso sugli ecosistemi, in particolare sulle comunità vegetali. Pertanto, dovremmo studiare i ruoli ecologici che questi animali – autoctoni o meno – svolgono negli ecosistemi piuttosto che giudicarli in base alla loro appartenenza».
I ricercatori hanno valutato gli effetti delle diverse caratteristiche della megafauna sulle piante. In particolare, i piccoli mangiatori, come i cervi, tendono a sopprimere la diversità delle piante, mentre i grandi mangiatori generalisti, come i bufali, tendono ad aumentare la diversità delle piante. Ciò è dovuto al fatto che i grandi mangiatori di massa non sono fisicamente in grado di nutrirsi selettivamente delle loro piante preferite ed è quindi più probabile che sopprimano le specie dominanti, facendo spazio a specie vegetali più piccole e sotto-dominanti.
L’introduzione di grandi animali per sostituire quelli estinti che svolgevano funzioni cruciali per l’ecosistema sta diventando una pratica di conservazione molto diffusa, anche nel Regno Unito e nel resto d’Europa. Secondo i ricercatori, il nuovo studio sostiene questo approccio di conservazione adattativa, che si concentra sul ripristino delle funzioni piuttosto che sui concetti di appartenenza.
Conclusioni che valgono solo per la megafauna
Gli autori sottolineano, però, che lo studio ha valutato specificamente i grandi mammiferi erbivori e che l’autoctonia può rimanere un modo importante per comprendere altri tipi di interazioni ecologiche. Per esempio, le specie introdotte più specializzate, come i parassiti arborei introdotti, possono avere effetti davvero dannosi sugli ecosistemi perché le specie autoctone non si sono evolute con loro.
Lo studio “Functional traits – not nativeness – shape the effects of large mammalian herbivores on plant communities” è stato pubblicato sulla rivista Science.
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