La questione dei mufloni dell’Isola del Giglio ritorna, ancora una volta, sulle pagine dei media dopo la ripresa degli abbattimenti che riguardano animali di ambo i sessi, cuccioli compresi, nelle zone che non ricadono nel Parco dell’Arcipelago Toscano.
L’Isola del Giglio, pur rientrando fra le aree protette dal Parco, non lo è completamente, per uno di quegli assurdi compromessi fra tutela ambientale e libero utilizzo del territorio, che su un’isola tanto piccola sembrano essere scelte difficilmente comprensibili.
La decisione di eradicare la popolazione locale di questa pecora selvatica è stata presa da tempo, ritenendola specie alloctona e invasiva, considerando che fu portata sull’isola dalla Sardegna, sembra non per ragioni venatorie ma di conservazione. In un periodo in cui la popolazione dei mufloni era stata ridotta al lumicino. Forse questa operazione non fu gestita correttamente, abbandonando gli animali senza gestire un progetto, ma ora questa popolazione esiste e il problema va affrontato, con etica e intelligenza.
Mufloni di origine sarda
La popolazione sarda discende dal muflone asiatico e fu introdotta in Sardegna e in Corsica circa 7.000 anni fa, mentre altre introduzioni furono fatte più recentemente (nel XVIII secolo) nell’Europa continentale, sempre partendo da piccoli gruppi prelevati in Sardegna, che però non si insediarono in modo soddisfacente, sino ad arrivare a estinguersi.
A metà degli anni ’50 del secolo scorso vennero portati, proprio dalla Sardegna, alcuni esemplari che furono liberati sull’Isola del Giglio, la cui orografia ben si prestava alla sopravvivenza dei mufloni.
Una specie, quindi, che non era presente in precedenza sull’isola e che per questo oggi viene considerata “alloctona” rispetto a quel territorio, cosa ben diversa dalle specie alloctone provenienti da altri continenti in epoca recente. Questa estraneità dei mufloni rispetto alla fauna endemica del Giglio fece accendere, più di un decennio fa, il sacro fuoco della tutela della biodiversità, in nome della quale, con una scelta molto frettolosa, si decise che si doveva procedere alla loro eradicazione.
Un termine quest’ultimo spesso usato a sproposito in contesti non insulari e che consiste nella totale eliminazione di una specie da un territorio. Quell’eradicazione degli alloctoni cara a una parte della comunità scientifica e all’ISPRA (Istituto Superiore di Ricerca e Protezione Ambientale), che, guidata da Piero Genovesi, è fra i principali fautori di questa decisione.
Un obiettivo facilmente raggiungibile in un contesto insulare o quando la consistenza della popolazione alloctona risulta essere limitata a poche unità, diffuse in un’area limitata. Diverso è eradicare specie insediate e diffuse, come nutrie e scoiattoli grigi, operazione da considerare tanto impossibile quanto inutile.
Dal 2009 ad oggi l’Ente parco e la Regione hanno dato via libera alla lotta contro i mufloni, autorizzando abbattimenti o trasferimenti che hanno riguardato oltre 140 esemplari. Attività che ha sempre dato luogo a proteste da parte delle organizzazioni di tutela degli animali e degli stessi abitanti dell’isola, che oggi si trovano con al loro fianco anche una parte della comunità scientifica, come vedremo in seguito. Per adesso fermiamoci a questo dato temporale che ci consente di poter dire che in ben tredici anni, su una piccola isola, non si è ancora riusciti a “sterminare” una popolazione stimata inizialmente in poco più di un centinaio di esemplari. Questo nonostante gli abbattimenti autorizzati ed eseguiti.
Viene da pensare che questo progetto, supportato anche da un LIFE, abbia più che altro garantito la continuità dell’attività venatoria senza risolvere.
Sarebbe, infatti, interessante sapere da ISPRA e anche dalla direzione del Parco dell’Arcipelago Toscano le motivazioni che hanno impedito, in un arco temporale ampio, l’eradicazione di questa specie, perpetuando per contro la caccia.
La mobilitazione dei cittadini del Giglio
Oggi poi, grazie a uno studio scientifico indipendente, realizzato attraverso la mobilitazione dei cittadini del Giglio che hanno raccolto i fondi per poterlo svolgere, è stato dimostrato che la popolazione di mufloni dell’isola non è proprio una specie invasiva ma, al contrario, un piccolo scrigno della biodiversità del nostro patrimonio faunistico.
Le analisi condotte dai ricercatori, e pubblicate sulle pagine di Save Giglio hanno portato a un risultato quantomeno sorprendente: «Lo studio dimostra che la popolazione di mufloni dell’Isola del Giglio ospita diversità genetica non più presente nel ceppo sardo. Come una capsula del tempo, l’isola del Giglio sembra aver conservato una porzione della variabilità del DNA ancestrale del muflone sardo, prelevata dal pool autoctono sardo al momento della traslocazione. I nostri risultati evidenziano la necessità più urgente di interrompere le attività di eradicazione e di concepire contemporaneamente piani di conservazione per preservare ciò che resta di questa risorsa genetica unica. Il recinto originale nel promontorio del Franco potrebbe essere opportunamente ripristinato per consentire il monitoraggio della popolazione, mentre potrebbero essere condotte indagini solide e documentate sull’impatto del muflone all’Isola del Giglio».
Questo studio porta alla seconda domanda ineludibile: come mai un progetto di eradicazione viene deciso senza avere solide basi scientifiche sull’impatto del muflone sull’isola e, ancora, perché lo studio pagato dai gigliesi non è stato da subito finanziato e promosso dagli enti preposti, compreso ISPRA?
Rivedere i metodi della gestione faunistica
Certamente questo modo molto italico di affrontare la questione non è piaciuto nemmeno a Corradino Guacci, presidente della Società italiana per la storia della fauna che ha recentemente dichiarato in un articolo pubblicato da Green Report: «La nostra forte perplessità rispetto a questa eradicazione “affrettata”, più che una posizione tout court a favore dei mufloni del Giglio (lungi da noi ogni posizione ideologica sull’argomento!), vuole ribadire la necessità di un approccio seriamente scientifico. La questione non è se si è pro o contro la loro presenza sull’isola, ma quella di valutare significato e valore genetico che i mufloni rappresentano».
Fra interrogativi, questioni irrisolte e decisioni affrettate questi abbattimenti stanno preoccupando molto abitanti e organizzazioni di tutela animale, che protestano da tempo contro questa caccia al muflone autorizzata sull’isola.
Forse il Giglio diventerà un caso di scuola, capace per una volta di mettere d’accordo animalisti e scienziati sulla tutela di una specie improvvidamente definita alloctona, invasiva e da eradicare. Potrebbe forse essere l’inizio di una nuova visione, più olistica, capace di affrontare i problemi di conservazione e tutela della natura con un approccio più attento all’etica, meno frettoloso e certamente meno venatorio di quanto solitamente accada. Magari chiarendo, una volta per tutte, anche i meccanismi di finanziamento delle realtà scientifiche coinvolte negli studi preliminari sui progetti di eradicazione delle specie alloctone, che non sempre sembrano essere attente solo alla tutela della biodiversità. Poche volte il mondo scientifico è stato disposto a stigmatizzare gli errori di una gestione faunistica basata esclusivamente su un criterio venatorio, che non ha portato mai all’ottenimento dei risultati sperati, spesso riuscendo solo a peggiorare le situazioni, come è possibile vedere dai mancati obiettivi raggiunti nelle attività di contrasto ai cinghiali.