La consapevolezza dei consumatori verso quello che accade negli allevamenti di suini, bovini e pollame è in costante crescita.
C’è un tipo di allevamento intensivo che, tuttavia, è meno conosciuto e, per questo, meno considerato: si tratta dell’ acquacoltura, settore che fornisce la maggioranza del pesce che finisce sulle nostre tavole.
Pescato in mare?
Sebbene molti consumatori siano portati a credere il contrario, la metà del pescato non arriva dal mare aperto, ma bensì dagli allevamenti intensivi di pesce.
I dati della Commissione Europea mostrano come il settore dell’ acquacoltura sia in forte crescita: nel 1974, solo il 7% del pesce era dall’allevamento.
Nel 2017 il dato ha raggiunto il 51% ed è destinato a cresce ancora raggiungendo – secondo le previsioni – il 60% entro il 2030.
«Oggi, per sostenere la domanda, l’ acquacoltura è già in tutto e per tutto una tipologia di allevamento intensivo simile a quelli di mucche, maiali e polli, con lo stesso tipo di dinamiche volte alla massima produttività a discapito delle condizioni di vita degli animali» spiega l’associazione Essere Animali che, per la prima volta in Europa, ha condotto un’indagine sotto copertura per mostrare ciò che accade negli allevamenti di pesce.
Il ciclo vitale dei pesci d’allevamento
I pesci vengono fatti crescere fino alle dimensioni adatte alla commercializzazione e, di norma, questo avviene principalmente nelle vasche di cemento su terra ferma o in gabbie in mare.
«L‘elevato affollamento in queste strutture è causa di forte stress e questo porta i pesci ad aggredirsi l’un l’altro. In queste condizioni l’impiego di farmaci è d’obbligo – aggiunge l’associazione –. Inoltre, le malattie possono diffondersi rapidamente e, nel caso degli allevamenti in mare, possono propagarsi anche alle aree circostanti».
I metodi di uccisione utilizzati differiscono a seconda delle specie e delle tipologie di allevamento. «Ma le tecniche di stordimento sono spesso del tutto inefficaci – prosegue Essere Animali –.
L’allevamento di pesci è in continua crescita e, se le cose non cambieranno, si costringeranno i pesci a una vita fatta di sofferenza. Per questo, l’associazione Essere Animali ha lanciato una raccolta firme al fine di garantire maggiori diritti a questi animali, ancora poco considerati».
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