Non bastassero l’inquinamento globale e la deforestazione a minacciare la salute del nostro Pianeta, anche nel negozio più grande del mondo, quello virtuale, si nasconde un fenomeno in crescita che ha effetti molto negativi sull’ambiente: i resi.
1/10 dei prodotti acquistati torna al mittente
Nella società del “tutto a portata di clic”, e soprattutto durante le settimane di acquisti superscontati che invitano i consumatori a cedere alla frenesia e talvolta alla compulsione, il pesante scotto da pagare è infatti l’aumento esponenziale di merce rispedita al mittente. Secondo un report di Appriss Retail, società specializzata nell’analisi di dati delle aziende che vendono al dettaglio, nel 2018 negli Stati Uniti il valore dei resi è stato di 369 miliardi di dollari, pari al 10% delle vendite totali. E le proiezioni per l’anno prossimo indicano il probabile superamento della soglia dei 550 miliardi di dollari.
Quei clic dannosi per l’ambiente
La possibilità di restituire un oggetto o un vestito comprato online è una tutela per il consumatore ma sta creando grossi danni economici alle aziende e soprattutto all’ambiente. Innanzi tutto a causa dell’aumento del traffico perché i trasporti, come ha di recente sottolineato il New York Times, hanno superato le centrali di energia al primo posto come fonti di gas serra nell’atmosfera, i responsabili del riscaldamento globale.
Ma l’enorme quantità di resi ha un peso anche a causa del packaging, per il gran numero di scatole e di involucri di plastica utilizzati nel processo di restituzione: analizzando i dati forniti da USPS, FedEx e UPS, è stato calcolato che ogni anno negli USA sono spediti 165 miliardi di pacchi e che il cartone utilizzato equivale a oltre 1 miliardo di alberi.
Soluzioni sostenibili
La stima è della LimeLoop, un’azienda americana che produce imballaggi riutilizzabili e che sta indicando una strada sostenibile per la continua espansione dell’e-commerce. Allo stesso modo in Europa ci stanno provando alcune aziende, come la finlandese Plan B From Outer Space Oy che ha lanciato il servizio RePack che consente la restituzione e il riutilizzo degli imballaggi di consegna per i rivenditori online e i loro utenti. O come l’italiana DressYouCan, che punta sul noleggio di abiti e sulla valorizzazione dell’usato per contrastare gli sprechi e le mode un po’ folli tipiche del fast fashion. Da un’indagine di The Guardian, per esempio, è emerso come nel Regno Unito 1 consumatore su 5 si dedichi al wardrobing, acquistando un capo con l’intenzione di indossarlo per una sola serata e restituirlo l’indomani.
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