Nel suo discorso d’insediamento il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si è limitato a generiche ma condivisibili considerazioni sulle questioni ambientali: decarbonizzazione del sistema produttivo, sicurezza idro-geologica del territorio, sviluppo dell’economia circolare.
Il primo segnale incoraggiante è stata la nomina a ministro dell’ Ambiente di Sergio Costa, comandante dei Carabinieri Forestali in Campania che ha recitato un ruolo di primo piano nell’inchiesta sullo smaltimento illecito di rifiuti tossici tra Caserta e Napoli, la cosiddetta Terra dei fuochi, ed è stato uno dei sostenitori della Legge 68 sugli ecoreati. Costa era stato anche molto critico nei confronti della scelta operata dall’allora ministro Marianna Madia (Pd) di accorpare il corpo forestale dello Stato ai carabinieri.
Il neo ministro dovrà affrontare subito alcune questioni scottanti, tra cui lo sforamento dei limiti delle polveri sottili PM10 che ha comportato il deferimento dell’Italia alla Corte di giustizia UE. Il governo tutto è altresì chiamato a dare risposte a molte altre questioni aperte: Ilva, Tav, Tap, Terzo valico. Gli industriali hanno fatto subito la voce grossa al riguardo: il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia ha invitato a non fare passi indietro e a superare i blocchi ideologici.
In coda molti commentatori hanno espresso preoccupazioni verso la politica del No, denunciando che potrebbe nuocere alla ripresa in corso e ai conti pubblici del Paese.
Ora, i leader del M5S e della Lega hanno battezzato il nuovo esecutivo giallo-verde “governo del cambiamento”. E una domanda s’impone su tutte: può esserci davvero cambiamento senza rompere quella linea di continuità tra establishment economico-finanziario e potere politico?
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