A meno di un mese dal referendum del prossimo 4 dicembre, giorno in cui si dovrà dire Sì o No alla riforma costituzionale proposta dal Governo Renzi, nessuno (o quasi) ha ancora parlato di quali sono le novità previste in tema di ambiente.
Questo forse è dovuto al fatto che la nostra sensibilità ambientale è ancora ben lontana dal raggiungere un livello degno della ricchezza naturale che abbiamo. Ne è prova lampante il fatto che nella nostra Costituzione la parola ambiente compare soltanto una volta, nell’articolo 117 (e a partire dal 2001).
Proprio quest’ultimo è uno degli articoli coinvolti dal testo della riforma che, pur non introducendo alcuna novità sostanziale in materia di ambiente, si propone di apportare alcune modifiche che vanno in una precisa direzione: le tematiche ambientali ed energetiche diventeranno competenza esclusiva dello Stato.
In sostanza cosa cambia? Si dovrebbe andare incontro a un netto accentramento delle decisioni, il quale da una parte permetterebbe di superare disparità e disaccordi fra Regioni – che spesso limitano il concretizzarsi di una politica ambientale interconnessa e organica – ma dall’altra allontanerebbe la decisione dal territorio. Il rischio è quindi quello che i territori si ritrovino a subire le decisioni dall’alto, senza che le necessità locali abbiano il giusto peso (in verità questo accade da sempre, e probabilmente la soluzione non è nel decentramento delle competenze, ma nella creazione di strumenti reali per favorire lo sviluppo della cittadinanza attiva).
A ribadire la tendenza all’accentramento dei poteri c’è anche la “clausola di supremazia”, uno strumento che permetterà allo Stato, nei casi in cui verrà ritenuto necessario, di intervenire anche in ambiti di competenza regionale.
In ecologia la frammentazione di un habitat è considerata un problema, secondo lo stesso criterio la creazione di una politica ambientale a più ampio respiro potrebbe quindi essere un bene, a patto che (come molti sospettano) non sia solo un trucco per puntare forte e senza “fastidi” su grandi opere e sfruttamento del territorio.
Leggendo il testo della riforma effettivamente il sospetto un po’ si alimenta, perché oltre alle modifiche molto pratiche dell’articolo 117, non viene introdotta nessuna innovazione nel modo di intendere e relazionarsi all’ambiente. Non c’è traccia di concetti come la sostenibilità, il diritto/dovere dei cittadini alla partecipazione nelle decisioni che riguardano l’ambiente, la tutela delle generazioni future.
L’assenza di una parte dedicata a questi aspetti, affrontati invece nelle carte costituzionali di molti altri stati, non è sicuramente al passo coi tempi, decine di anni di avanzamento scientifico hanno reso molto più sofisticato il concetto di ambiente rispetto a quando, 70 anni fa, si parlava solo di tutela del paesaggio.
Senza dubbio c’è bisogno di rendere esplicite quelle che devono essere le linee guida della nostra identità nazionale nei confronti dell’ambiente. Non è più possibile che questa parola, questo concetto dal quale dipendiamo così tanto, sia presente una sola volta nel testo fondamentale della nostra Repubblica.
Tanto più in questo periodo in cui la vittoria di Donald Trump, prototipo del negazionista con il rigetto antiscientifico, suscita non pochi pensieri a quelli che hanno a cuore la salute del nostro pianeta.
Illustrazione: Silvia Venturi
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