Uno dei post più letti da giorni in questo Blog è quello pubblicato da Francesco Martinelli, intitolato “Referendum trivelle: qual è la scelta ambientalista”.
Sono consapevole dei limiti della consultazione a cui siamo chiamati. Oggi in Italia abbiamo 130 piattaforme marine da cui si prelevano gas e petrolio. E i pozzi marini collocati in prossimità della costa, cioè entro il limite delle 12 miglia – sui quali avrà eventualmente potere di agire la risposta referendaria, tra l’altro solo quando scadranno le concessioni – sono poche.
Tuttavia vorrei svolgere un tre considerazioni.
La prima. Si sottolinea che delle 26 concessioni produttive interessate dal quesito, solamente 4 prevedono l’estrazione di petrolio. E allora? Le altre sono meno pericolose? In Adriatico è stato finora registrato solo un grave incidente: accadde negli anni Sessanta, una fuoriuscita di metano dalla piattaforma Paguro al largo di Ravenna con conseguente incendio. Greenpeace inoltre ha di recente ha pubblicato uno studio realizzato dall’ISPRA, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca: mostra che tra il 2012 e il 2014 ci sono stati dei superamenti dei livelli stabiliti dalla legge per gli agenti inquinanti nel corso della normale amministrazione di alcuni dei 130 impianti attualmente in funzione in Italia.
La seconda. Gli stessi promotori del referendum hanno spiegato che in ogni caso l’inquinamento non è la priorità che ha reso necessario il referendum. La ragione principale, come è scritto sul sito del coordinamento no-triv, è politica: «Il voto del 17 Aprile è un voto immediatamente politico, in quanto, al di là della specificità del quesito, residuo di trabocchetti e scossoni, esso è l’UNICO STRUMENTO di cui i movimenti che lottano da anni per i beni comuni e per l’affermazione di maggiori diritti possono al momento disporre per dire la propria sulla Strategia Energetica nazionale che da Monti a Renzi resta l’emblema dell’offesa ai territori, alle loro prerogative, alla stessa Costituzione italiana».
Insomma l’intento è dichiarato: dare al governo un segnale contrario all’ulteriore sfruttamento dei combustibili fossili e a favore di un maggior utilizzo di fonti energetiche alternative. Dov’è la menzogna?
La terza. Sovente per condurre e magari vincere una battaglia di vasta portata è necessario agitare simboli e alzare vessilli. La storia è ricca di esempi. Malcom X forse non è stato uno stinco di santo, la sua figura resta tuttora controversa, ma le sue battaglie a favore dei diritti degli afroamericani e dei diritti umani in genere sono un’eredità importante. Andiamo più vicini ai nostri temi. La zoologa Dian Fossey ha adottato metodi non sempre ortodossi per combattere i cacciatori e i bracconieri locali, tuttavia il suo impegno per la salvaguardia dei gorilla di montagna resta cristallino. Anche Erin Brockovich ha usato metodi e un linguaggio poco ortodossi, questo però non le ha impedito di vincere la causa intentata contro la Pacific Gas & Electric, rea di aver contaminato con cromo esavalente le acque della città di Hinkley in California per oltre 30 anni, provocando tumori ai residenti.
Cosa c’entra tutto questo con le trivelle? Tutto e niente. Intendo però dire che le associazioni ambientaliste fanno il loro mestiere, che è poi quello di porre un argine al degrado del pianeta. E se ogni tanto agitano lo spauracchio del petrolio per destarci dal nostro torpore non mi scandalizzerei più di tanto. Nel nome dello stesso petrolio osservo ogni giorno cose ben peggiori.
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