Esistono relazioni molto forti tra il mondo delle erbe officinali, ed in particolare quelle curative, e quello degli animali, soprattutto se selvatici. Soprattutto tra i vertebrati superiori, ma non solo, non è raro che quando un animale è malato o magari intossicato, consapevole di ciò cerchi determinate erbe per curarsi, sia attraverso l’istinto sia, in alcuni casi, tramite l’apprendimento trasmesso da individui più vecchi. È dunque errato pensare che un animale debilitato affronti la sua malattia solo con il riposo, il digiuno e le proprie forze potenti vitali: esistono infatti comportamenti attivi di ricerca di possibili “medicine” .
Ecco allora che si può notare come va di fretta il Tordo per cercare il Giusquiamo nero (Hyoscyamus niger) per avere l’antidoto al veleno dopo aver mangiato il Ragno crociato (Araneus diadematus)! Tra l’altro secondo la tipica logica omeopatica del “simile cura simile”, dal momento che si tratta a sua volta di una Solanacea dai semi velenosi, ricchi di un alcaloide impiegato anche dalla farmacopea (umana) nella cura delle malattie nervose.
In un bel libro sulle erbe medicinali del 1572 scritto da Hyeronimus Bock di Strasburgo, si racconta come i contadini usassero anch’essi il Giusquiamo nell’acqua come esca “per far ammattire il pesci”, ovvero stordirli e poterli poi catturare agevolmente con le mani. Le cicogne cercano invece l’origano come medicina mentre corvi, taccole, pernici e ghiandaie malate si purgano mangiando le foglie verdi dell’Alloro (Laurus nobilis), una pianta cercata anche dai polli allevati liberi. Le gru a quanto pare cercano invece i germogli dei giunchi, mentre anatre, oche e molti altri uccelli acquatici si curano ingerendo l’erba Siderite (Stachys recta), che in Toscana è chiamata dal popolo “Erba della paura”, dal momento che veniva usata per mitigare tutte quelle sensazioni di agitazione ed ansia, caratteristiche dopo piccoli o grandi shock.
Il Peucedano (Peucedanum cervaria) ha giustamente questo nome perché è mangiato volentieri dai cervi e da altri Ungulati, mentre l’Elleboro (Helleborus niger) è chiamato anche “erba delle galline” poiché questi uccelli smetterebbero di deporre le uova in vicinanza di questa pianta. Invece la Valeriana (Valeriana officinalis) in molti paesi è chiamata anche “l’erba dei gatti” perché attira questi animali, sia selvatici che domestici, che amano rotolarsi tra le sue tenere foglie. Da non confondersi con la Gattaria o Erba gatta (Nepeta cataria), un’altra pianta amatissima dai felini che arrivano anche a masticarla. Recenti studi hanno infatti confermato che questo vegetale contiene vitamine, minerali, olii essenziali e soprattutto il nepetalattone, una sostanza che sembra essere la principale responsabile degli effetti sull’animale fungendo da vero e proprio feromone del gatto, il cui odore viene percepito tramite gli organi vomeronasali. E se è noto che l’odore dell’Anice attira i piccioni (anche se oggi in molti sono impegnati piuttosto a scacciare questi volatili), il forte odore del Cerfoglio (Anthriscus cerefolium) allontana le formiche, mentre mazzetti di menta e camomilla in soffitta scacciano i topi.
E che dire infine della Nummularia (Lysimachia nummularia), chiamata in alcune località “erba dei serpenti”, poiché i rettili se ne nutrirebbero per guarire addirittura dalle ferite?!
Insomma un panorama affascinante che deriva soprattutto da un mondo contadino tradizionale e da un modo di osservare la natura ormai rari, ma che meriterebbe di essere riscoperti.
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