Vecchia e brutta storia quella delle autostrade in Italia e delle relative concessioni. Buona per scriverci un articolo di tanto in tanto (come sto facendo io) e alzare il sopracciglio in segno di indignazione. Poi, tanto nulla cambia.
Nei giorni scorsi è arrivato l’ennesimo richiamo dell’Ue, che ha deferito il nostro paese davanti alla Corte di Giustizia. Nello specifico l’infrazione riguarda la proroga di 18 anni della concessione senza bando di gara alla Società Autostrada Tirrenica sulla A12 Civitavecchia-Livorno. La prima concessione risale al 1969, originariamente accordata per un periodo di 30 anni fino al 1999. Da allora la concessione è stata prorogata due volte, rispettivamente fino al 2028 e al 2046 senza alcune procedura competitiva.
Il passato recente delle autostrade italiane
La nostra rete autostradale italiana è stata costruita in gran parte tra gli anni ’60 e ’70. Sono state invece le privatizzazioni degli anni ’90 a disciplinare l’attuale assetto gestionale. La rete è affidata a società di capitali. Tra queste, spicca Autostrade per l’Italia, fondata dall’Iri nel 1950 (allora si chiamava Società Autostrade Concessioni e Costruzioni S.p.A.) e adesso controllata da Atlantia Spa, che è concessionaria di quasi 3.000 chilometri di autostrade su una rete totale di circa 6.700. Altro grande concessionario è il Gruppo Gavio, che gestisce più di 1.200 chilometri. Il resto è affidato in concessione a società minori, spesso miste, o direttamente ad Anas.
Autostrade per l’Italia vanta una concessione fino al 2038. Ma ve ne sono di ben più lunga durata, è il caso appunto della già ricordata Sat o di Sitaf (Società Italiana Traforo Monte Bianco) che scade addirittura nel 2050. È lecito domandarsi come sono state rilasciate tale concessioni. Lo spiega bene un’indagine conoscitiva della Banca d’Italia presentata nel giungo 2015 all’VIII Commissione della Camera dei Deputati (Ambiente, territorio e lavori pubblici): «Le vigenti concessioni, tutte rinnovate senza passaggio per una gara pubblica, si caratterizzano per durate residue estremamente lunghe».
Bilancio in chiaroscuro
Il rapporto della Banca d’Italia dipinge un quadro a tinte fosche. Una delle questioni più critiche riguarda la relazione fra pedaggi, che aumentano anche in periodo di deflazione, e investimenti. Scrive la Banca d’Italia che «per via della mancanza di informazioni adeguate sui piani economico-finanziari, è difficile valutare la congruità dell’evoluzione tariffaria effettiva e la sua coerenza coi principi regolatori e normativi stabiliti». In un altro passaggio si apprende che «nel periodo 2008-13, si è progressivamente ampliato il divario tra gli investimenti effettivi (complessivamente di 11,5 miliardi) e quelli previsti dai piani finanziari relativi al medesimo periodo (quasi 14,1 miliardi)». E nel caso vi fosse rimasto qualche dubbio sulla trasparenza di tutta questa vicenda, eccovi serviti: «La valutazione dei piani di investimento espressi dai concessionari è, in ogni caso, limitata dalla scarsità di informazioni disponibili pubblicamente». Ripeto, lo scrive la Banca d’Italia!
Bocciata anche la possibilità di scambiare maggiori diritti, leggasi proroghe in deroga, con investimenti. L’Istituto di via Nazionale, infatti, fa notare che «sia in caso di costruzione ex novo, sia in quello di miglioramento qualitativo, l’infrastruttura dovrebbe comunque successivamente rientrare nella disponibilità pubblica, e il concessionario dovrebbe essere selezionato identificando il soggetto maggiormente in grado, con minori costi e più elevata qualità, di svolgere quei compiti».
La Commissione Ue guarda da tempo con preoccupazione alla situazione italiana. I sospetti sono aumentati dopo che nel 2014, grazie all’articolo 5 del decreto Sblocca-Italia, si è concessa agli attuali concessionari la possibilità di ottenere ulteriori lunghe proroghe delle concessioni senza alcuna gara pubblica in cambio di investimenti sulle tratte. Perplessità attorno alla norma sono state espresse dall’Autorità Nazionale Anticorruzione, dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e dalla stessa Banca d’Italia, tuttavia il governo è andato avanti per la sua (auto)strada e ora è arrivato il deferimento alla Corte di Giustizia europea.
Quale futuro
Non occorre essere fini economisti per comprendere che il solo modo di ottenere più investimenti e migliori servizi e, magari, perché no, smetterla con gli insopportabili aumenti dei pedaggi di inizio gennaio è quello di mettere imprenditori italiani e stranieri nella condizione di concorre in modo libero e trasparente mediante gare di evidenza pubblica.
Molti analisti attribuiscono alle privatizzazioni delle ex società pubbliche la responsabilità della torbida situazione venutasi a creare. Quel processo che avrebbe dovuto modernizzare il Paese e sottrarlo dalla morsa di una politica troppo invadente si è consumato spesso in un passaggio da monopoli pubblici a monopoli privati. E i secondi, checché se ne dica, a volte sono più voraci dei primi.
«Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a crederci il sale della terra». Le parole del Principe, protagonista del celeberrimo e a tratti profetico romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, risuonano ancora una volta nella palude.
riproduzione consentita con link a originale e citazione fonte: rivistanatura.com