Dal primo settembre, in 9 regioni, è stata autorizzata l’anticipazione della stagione venatoria. In Abruzzo, Marche, Veneto, Emilia Romagna, Umbria, Lazio, Campania, Toscana e Sicilia (dove saranno cacciabili però solo colombacci e tortore) gli animali torneranno nei mirini dei cacciatori prima del dovuto.
Un provvedimento, quello dell’apertura anticipata della caccia rispetto alla data ufficiale fissata per il 18 settembre, che di recente è costata al nostro Paese anche l’avvio di una procedura d’infrazione da parte dell’Unione Europea.
I dati scientifici, infatti, indicano con chiarezza come questa anticipazione sia del tutto sfavorevole alle popolazioni degli animali. La fine dell’estate è il periodo in cui questi sono più vulnerabili: i piccoli sono ancora immaturi, le specie migratrici stanno per prepararsi a lunghi voli di ritorno verso le aree di svernamento, la siccità estiva ha reso difficile procurarsi cibo e acqua mentre alcune specie stanno ancora nidificando.
A tutto ciò vanno poi aggiunti i danni causati dalle cosiddette uccisioni “accidentali”, oltre che a veri e propri fenomeni di bracconaggio. Episodi difficili da gestire in un paese come l’Italia in cui gli organi di Polizia e il Corpo Forestale dello Stato sono soggetti a riordino.
I numeri di un fenomeno in calo
Secondo una recente indagine condotta da Eurispes, il 68% degli italiani è fermamente schierato contro all’attività venatoria. I cacciatori sono circa 700mila (poco più dell’1% della popolazione nazionale) e, nonostante il numero sia in calo, sale l’età media di chi si dedica alla caccia.
Si stima che, come ogni anno, gli animali abbattuti saranno decine di milioni. Tra le specie più colpite ci sono certamente i volatili, già pesantemente colpiti dalle uccisioni illegali. Secondo il rapporto di BirdLife International, di cui Lipu è portavoce per l’Italia, nel nostro paese si sono registrati 5.600.000 abbattimenti non autorizzati di uccelli.
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