Nel 2016 gli attacchi di squali ai danni dell’uomo sono diminuiti. L’anno scorso, infatti, in tutto il mondo erano stati circa un’ottantina, quatto di questi risultati fatali.
Un numero in diminuzione se paragonato a quello del 2015 quando si registrarono 98 aggressioni e 6 decessi. A riportare questi dati è l’International Shark Attack File, documento redatto dai ricercatori dell’Università della Florida.
Dove avvengono gli attacchi
Il numero più cospicuo di aggressioni (53) è stato registrato al largo delle coste degli Stati Uniti. Tuttavia, nessuno degli incidenti si è rivelato essere fatale per le vittime. In particolare, il 60% degli incontri ravvicinati è avvenuto nelle acque della California.
In Sud Africa è stata registrata solo un’aggressione di questo tipo, peraltro non fatale. In Nuova Caledonia gli attacchi sono stati 4, la metà dei quali mortali.
In Australia, infine, sono stati registrati 15 episodi, costati la vita a 2 persone.
Secondo il report, il 58% delle persone coinvolte erano intente a fare sport acquatici al momento dell’attacco.
«Gli attacchi da parte degli squali sono l’effetto di un’azione umana – ha spiegato il curatore del progetto George Burgess –. Gli squali sono una componente naturale dell’ecosistema marino, mentre l’uomo è uno “straniero” in questo ambiente. Dobbiamo sempre tenerlo a mente quando si entra in acqua».
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