L’industria lattiero-casearia australiana, come anche in altri paesi, sta attraversando una crisi profonda a causa del ridotto consumo e per via della sempre più comune homebrand dei grandi supermercati. Il prezzo troppo basso a cui i prodotti vengono comprati ai contadini – assieme alle fluttuazioni di domanda del mercato domestico ed estero – hanno portato, nel giro di pochi mesi, i produttori di latte sull’orlo del fallimento.
Il valore di un chilo di solidi del latte è calato da circa 5.60 dollari australiani (circa 42 centesimi al litro) ad un misero 1.91 dollari (circa 12 centesimi al litro).
I consumatori stanno cercando di supportare i produttori australiani, ma le loro azioni potrebbero attenuare solo in parte il complesso problema della produzione del latte.
Infatti, la crisi economica dei produttori di latte non può essere presa in considerazione senza analizzare almeno altri due aspetti su cui è necessario riflettere, vale a dire le problematiche legate al benessere degli animali produttori di latte e l’impatto ambientale degli allevamenti.
La dura realtà degli allevamenti
Nonostante l’immagine idilliaca, fatta di pascoli al sole che l’industria casearia cerca di dare, l’enorme domanda di prodotti caseari ha costretto negli ultimi decenni gli allevatori a ricorrere a processi che aumentino l’efficienza della produzione, ma che risultano però estremamente invasivi e dolorosi per gli animali.
Per citarne alcuni, vi sono le gravidanze forzate per ottenere una produzione continuativa di latte, il taglio della coda e delle corna per ridurre le lesioni reciproche tra gli animali costretti in spazi insufficienti, interventi che vengono eseguiti senza scrupoli e senza anestetici. Procedure di questo genere hanno portato le vacche da latte ad avere una vita media di 6-7 anni, quando in realtà potrebbero vivere fino a 20-25 anni. Se poi consideriamo che ogni anno vengono soppressi circa 450.000 vitelli maschi in quanto risultano ‘troppo’ costosi per l’industria, si comprende l’aberrazione che ne
deriva.
Prezzo pesante per l’ambiente
In secondo luogo, la produzione di latte come quella di carne, è una delle industrie che causa, direttamente e indirettamente, enormi danni ambientali.
In Australia, il 10-16% dei gas serra totali sono causati dalla produzione di bestiame e il 3% delle emissioni sono connesse all’industria casearia.
Le emissioni di metano (CH4) e di ossido di diazoto (N2O), legate alla digestione dei ruminanti e alle enormi quantità di letame, contribuiscono anch’essi enormemente all’inquinamento atmosferico e terrestre.
Inoltre, il 70% di tutta la terra arata in Australia è dedicata al pascolo, realtà che ha portato inesorabilmente ad una progressiva e significativa deforestazione.
Va infine ricordato l’impatto degli allevamenti sul consumo di preziose risorse quali l’acqua, molto importante in Australia.
Quali soluzioni?
Questi due soli punti, mettono in luce l’ampiezza del problema. Da un lato si assiste al rapido impoverimento degli allevatori, dall’altro la loro attività è correlata alla sofferenza necessariamente inflitta ad esseri viventi e ad un impatto ambientale distruttivo.
La necessità di una transizione verso un sistema più sostenibile ed etico è lampante. Un’area come Gippsland, in Victoria, e che al momento produce circa il 19% dei prodotti caseari australiani potrebbe convertire almeno in parte questa attività in prodotti agrari come mele e brassiche.
È in dubbio, inoltre, che ogni produzione debba essere valutata sulla base di principi etici, oltre che di mercato. Ad esempio, prodotti alternativi al latte di vacca, quali il latte di soia, hanno lo stesso valore nutrizionale ma un impatto ambientale molto ridotto. Alcune di queste colture sono già popolari nell’area, ma le previsioni del cambiamento climatico, con riduzione delle riserve idriche ed aumento delle temperature, non permettono di essere troppo ottimisti.
I dati scientifici riguardanti l’impatto ambientale e l’utilizzo delle risorse da parte dell’industria casearia e di bestiame sono stati pubblicati dalla FAO nel report del lontano 2006 Livestock’s long shadow che riporta dati drammatici riguardanti le emissioni dei gas serra causate dagli allevamenti, che supererebbero la percentuale di tutto il sistema di trasporti mondiale (macchine, treni, aerei e navi).
A questo punto si tratta di lavorare per studiare soluzioni sostenibili e realizzabili. Si tratta di rinforzare concetti che stanno prendendo sempre più peso con azioni politiche e legali.
La Danimarca, ad esempio, sta contemplando la possibilità di introdurre una tassa sulla carne. Queste azioni dovranno in ogni caso essere affiancate a campagne informative ed educative che rendano chiaro a chiunque che il cambiamento climatico è un problema etico.
I governi sono chiamati urgentemente a predisporre un piano di transizione che supporti le attività agricole etiche e sostenibili e e che riduca le attività di allevamento intensivo. Si tratta di un passo bisogna necessariamente compiere, a difesa delle risorse indispensabili e nella direzione del bene dell’uomo, degli animali e del loro ambiente.
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