Secondo uno studio condotto dai microbiologi del campus di Piacenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, l’accumulo di microplastica nei mari sta diventando sempre di più una questione cruciale non solo per l’ambiente, ma potenzialmente anche per la nostra salute.
A questa conclusione sono giunti i ricercatori della facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali, che insieme ai colleghi dell’Università di Sousse, in Tunisia, hanno indagato la presenza di microplastica e di batteri in campioni di acqua del mar Mediterraneo, provenienti da quattro aree costiere tunisine, e in campioni di cozze.
Dal nuovo studio, recentemente pubblicato sul Journal of hazardous materials, è infatti emerso non solo che nelle cozze sono presenti significative quantità di microplastica, ma anche che queste trasportano batteri patogeni che hanno un effetto tossico sui mitili, come indicato dalla loro risposta immunitaria.
Relazioni pericolose
«Dopo avere profilato, mediante tecniche di sequenziamento del Dna, la struttura della comunità batterica formatasi sulle microplastiche galleggianti in acqua di mare – spiega Edoardo Puglisi, docente di Microbiologia all’Università Cattolica – queste sono state messe in contatto con le cozze (Mytilus galloprovincialis) per consentirci di ampliare le conoscenze sul potenziale ruolo svolto dalle particelle di plastica nel plasmare le strutture della comunità batterica e nell’indurre possibili effetti tossici.
Gli esiti di questa sperimentazione, oltre ad aver mostrato chiaramente una grande variabilità nella composizione delle comunità batteriche di plastica galleggiante proveniente da diverse aree geografiche, hanno confermato che i mitili accumulano dentro sé non solo le microplastiche, ma anche i batteri da esse trasportati, inclusi ad esempio alcuni patogeni appartenenti al gruppo dei vibrioni».
Un risultato che apre le porte a future nessarie investigazioni, al fine di valutare quale sia il rischio alimentare per l’uomo.
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